le compre-vendite, i giuochi di borsa, gli affarismi di tutti i generi che si innestano o si sovrappongono ai grandi interessi delle Nazioni e degli Stati — e ha reso invece possibili, come mai per il passato e dopo altre guerre, tutte queste ignobili e criminali forme di cooperazione diplomatica : onde si vedono, per esempio, nelle questioni adriatiche, gruppi di sensali e giornalisti e ruffiani inglesi lavorare con successo a tenere in iscacco i diritti di una grande potenza vittoriosa quale l’Italia e creare situazioni nuove nell’Intesa non sospettate e non sospettabili all’atto dell’alleanza e della guerra. Metternich e Bismaxck debbono sorridere, dal fondo dei loro valhalla, di tutte queste glorie della nuova diplomazia democratica. Ma raggiungerà, infine, questa diplomazia lo scopo di concludere un trattato? Certo, fin dal primo momento, essa si è mostrata atta e capace a tutto — a comporre un libro di versi o di versetti, a creare una Bibbia, un canto liturgico, un poema eroico, una sinfonia pastorale — ma un trattato, cioè a dire un contratto, un atto pubblico, che determini condizioni, definisca obbligazioni, formuli patti e leggi, non nell’infinito e per l’eternità, ma in un ambito circoscritto di tempo e spazio, nell’intento di risolvere precise questioni per note persone (persone giuridiche e persone drammatiche) : un contratto che non sia quello di Rousseau, e non si proponga di fissare una teoria sul genere umano che una teoria successiva metta in ridicolo o nel nulla; un contratto, insomma, quale i privati cittadini e i poteri pubblici hanno sempre stipulato, per concludere un affare o per concludere una guerra : no. Basterebbe a dimostrar questo, il fatto che gli illustri Consoli dei due mondi hanno cominciato dalla questione che poteva e doveva essere ultima, la questione della Lega delle nazioni — nazioni che non sapevano quali e quanti fossero dignae inir ari — bruciando così in un giorno tutte le tappe della — 291 —