Chi ha mai saputo, fino a ieri, che fosse così profonda la discordia nel Ministero intorno al più grave problema della guerra ch’era insieme il più grave problema della pace? Si sospettavano, si coglievano per aria i marconigramma del dissenso, attraverso certe mal represse polemiche di stampa, certe malcelate propagande all’estero, certe mal connesse coalizioni nell’ambito stesso del Gabinetto; ma che la discordia fosse tale da rendere incompatibile la convivenza, impossibile la collaborazione nell’ora decisiva delle realizzazioni, il pubblico non credo abbia mai imaginato. E come si è potuto coltivar bene insieme lo stesso terreno, o qual albero mai si è potuto insieme coltivare nello stesso terreno, se infine non si possono distinguere e non si vogliono riconoscere i frutti che pendono dal ramo nella stagione del raccolto? E di quali mai innesti si è contaminato l’albero nazionale della guerra, se alla fine gli stessi coltivatori si sentono più lontani di spiriti tra loro, che dagli altri dei campi vicini ? E l’Italia il solo paese in Europa, fra quelli dell’Intesa, in cui la vittoria produca una crisi di governo : il solo paese in cui la vittoria si manifesti coi segni della discordia politica più che della discordia parlamentare : il solo paese in cui la vittoria non pacifichi gli animi e le menti, non soddisfi i desideri e gli ideali. Come e perchè? Una qualche ragione vi deve essere. E bisogna ricercarla e rivelarla. Io temo che la ragione sia alle radici — troppo scoperte sul suolo — della nostra guerra. Quando la Francia e l’Inghilterra, aggredite dalla Germania, levarono il bando contro il militarismo prussiano, tutti i democratici che sino allora avevano fatto professione di pacifismo, accorsero subito sotto le bandiere, giustificando la loro conversione con la nuova qualifica data alla guerra; la qualifica di democratica. Guerra come guerra, no ; ma guerra democratica, sì: altra cosa! Forse la Francia e l’Inghilterra non