al signor Wilson degli aiuti loro prestati per compiere la loro ultima gesta contro la Germania. Ma, per la cronologia non sarebbe forse male, non dimenticassero che non avrebbero oggi il piacere di mostrarsi grati al signor Wilson se l’Italia non fosse corsa in primo tempo al loro fianco sbranato. E anche il signor Wilson, a quest’ora, invece che con noi, avrebbe dovuto fare i suoi conti con i tedeschi vittoriosi, che dal Messico al più lontano Giappone gli avrebbero forse preparato una forca caudina assai più solenne degli archi di trionfo che l’ingenuità delle genti latine non gli abbia elevato per far passare sotto la bandiera dell’idealismo umanitario la merce dell’affarismo americano da troppo tempo anelante ai mercati del vecchio mondo. Ma chi si ricorda del fuoco d'antan? All’ultim’ora, il signor Wilson — seguendo evidentemente gli estremi consigli del precettore jugoslavo che compie l’educazione europea della famiglia nel soggiorno di Parigi — dichiara di non riconoscere, perchè non porta la sua firma il Patto di Londra, che contiene le rivendicazioni italiane sulla Dalmazia. Non riconoscere il Patto di Londra, oggi, dopo due anni di letteratura epistolare tra la Casa Bianca e gli altri Quai d'Orsay d’Europa, nella quale non è mai fatta menzione di disconoscimento di quel Patto? dopo quattro mesi che il Congresso della Pace funziona, e durante i quali i suoi quattordici punti sono stati messi in forse, da lui stesso e dai suoi, ma non mai sono stati messi in forse i trattati degli alleati? Non riconoscere il Patto di Londra, là dove tratta delle rivendicazioni italiane, e non riconoscere i diritti di Fiume là dove questi si incontrano con uno dei quattordici punti del suo vangelo che ogni giorno più minaccia per le variazioni che subisce, di essere accantonato fra gli apocrifi ? Non è senso politico, nè senso di giustizia o di equità, nel modo di procedere e trattare di questo strano simulacro di pacifico Robespierre transatlantico — 302 —