I.A DALMAZIA E L’OPERA UMANA 149 Slavi e di Tartari (voi. I, pag. 45) contesta l’ipotesi del Lucio (Moro-Vlassi = Moro-Latini) (ibid.. pag. 47) ; ma ammette che essi usano molte parole latine (pag. 48) ; li distingue in due varietà, dal tipo antropologico e psichico: « i biondi, con occhi celesti, faccia bislarga, naso schiacciato » quelli del contado di Zara ; di « pelo castagno », faccia lunga, olivastri, di bella statura, quelli di Duare o di Vergoraz; colti e rispettosi nel Kotar; aspri, alteri, audaci, intraprendenti quelli del contado di Vergoraz, i quali hanno anche forte inclinazione al rubare « dovuta alla loro situazione fra i monti inaccessibili e sterili » (pag. 5 8). Sulla loro provenienza latina, di una parte almeno di essi, starebbe invece come prova la loro affinità con gli Aromuni sparsi per la Balcania. Di tale opinione è l’Ho-berhummer, che reca importanti appoggi all’ipotesi della loro provenienza latina (1). Lo stesso Cvijic (2) non sempre obbiettivo quando si tratti della Dalmazia etnografica, ammette trattarsi di Latini ritiratisi sulle montagne e datisi alla pastorizia. Secondo i documenti storici, — egli però aggiunge, senza peraltro citare quei documenti — i Mauro-Valacchi, i Mor-lacchi, i Vlachi Negri, i Latini Negri, erano già, nel Medio Evo, a metà slavizzati, e parlavano un latino mescolato con lo slavo. (1) Cfr. A. D’Alia : La Dalmazia - Optima, Roma, 1928, pag. 54. Da questo studio, coscienzioso dal punto di vista delle informazioni, vivace e palpitante come sentimento (il D’Àlia, ora Ministro Plenipotenziario, fu Console Generale d’Italia a Zara sino al tempo della guerra) abbiamo tratto la notizia concernente l’Hoberhummer, il cui scritto: Dalmatien, Vienna-Lipsia, 1911, non abbiamo potuto procurarci. (2) La Peti-Ba/k, cit., pag. 558.