158 e bestie ; e si stipulava che i Ragusei potessero andare indisturbati per la terra degli Slavi, « vale a dire il porto di Narenta». Ma, mentre le varie attività che potevano esercitare i Ragusei in virtù di quel patto sono molte, dei « Narentani » non si fa motto, ed essi vengono semplice-mente compresi tra gli « Sciavi » (i). Che i Narentani facessero anche loro del commercio, a lato della pirateria, non fa meraviglia ; però, contro alla congerie dei documenti che attestano l’attività pacifica di Venezia e di tutte le città adriatiche italiane, non ci è riuscito di trovare altro accenno ad « affari » esercitati dai Narentani, se non quello fatto appunto da un Veneziano, il Dandolo, il quale, parlando dei fatti di Pietre Orseolo II (sec. x), accenna a quaranta Narentani « nobili » che ritornavano dalla Puglia dopo avervi concluso i loro affari (2). Il trattato finale concluso tra il Doge e lo « Stato » piratesco è una prova del conto in cui esso era tenuto.Le obbligazioni dei Narentani sono : « nec censum alias extor-tum aliquo modo exigere, nec quempiam itinerantem Ve-netias molestare» (3); e che i Narentani non molestassero solo i Veneziani, ma anche i loro propri i affini di razza, risultava dalle rimostranze di Carlo il Calvo (871 d. C.) (1) LijUBic : Monumenta, etc. ci. Voi. I, Doc. XVII... « et quod secure Ragusei per totam terram illorum, nominatim portum Narente, mercando, laborando, pascendo, et sua reposita recipiendo, et ligna incidendo, pergant sine ullo contrario sccundum antiquam consuetudinem... Item Sciavi utaperte Ragusium sint salvi, et nullum malum sit eis a Raguseis per terram aut per mare... ». (2) Dandolo : Cbron. cit. L. IX, Cap. I, Pars XXI : « Dux (Pietro Orseolo II) tune quorundam Narentarorum relatione dedicit XI Narentanorum nobilium de Àpuliae partibus, peractis negotiis, ad propria vellereverti etc. ». (}) Dandolo : Cbron, cit. L. IX, Cap. I, Pars XXVII.