— 93 — durante tutta la campagna. Mentre il Sultano visitava l’ospedale delPYldiz Kiosk, i feriti che ivi trovavansi , al suo entrare , in segno di rispetto, levavansi in piedi; ma un albanese, essendo debolissimo, cadde a terra gridando: Lunga vita e vittoria al Califfo ! Il sultano accorse per sollevarlo e gli disse: Ti ringrazio; or chiedi quel che vuoi per te. Allora il ferito, levate in alto le mani mutilate, esclamò: Queste mani sono state straziate per il trionfo di una giusta causa, ed io vi domando, o mio sovrano, di non restituire al nemico quella terra per la conquista della quale io mi trovo cosi ridotto ! Il Sultano impallidì a tale preghiera e, nella sua tristizia, di sicuro vide la necessità di provvedere a tempo ed opportunamente affinchè fosse rintuzzata una buona volta 1’ altera fierezza e represso con tutti i mezzi 1’ ardente patriottismo degli ■Shkjiptari, che, per quanto allora gli avessero assicurata la vittoria, pure costituivano un assai pericoloso sostegno al suo trono vacillante. Di ciò diremo fra poco ; per ora ci piace di riferire quanto a proposito dell’eroica condotta dei nostri ebbe a dire Grumbckow pascià, ispettore tedesco dell’artiglieria turca, al corrispondente della « Neue freie Presse »: Si distinguevano specialmente gli Albanesi col loro bianco fez, divenuto il terrore dei Greci. Essi marciavano alla battaglia cantando canzoni guerresche. Dovunque compariva il bianco fez, s’impadroniva dei greci un terribile panico; tale è lo sprezzo della morte che hanno gli Albanesi. Vattaché militare austriaco, barone Giesl, che mi era al fianco, esclamò: Questi Albanesi sono semplicemente stupendi ! Io ne sono entusiasmato, aggiunse Grumbckow, e per quanto non conosca nulla di più perfetto d’un soldato prussiano, pure mi cavo il cappello davanti a questi eroi che, sottto la mitraglia dei Greci, s’arrampicavano sui bastoni cantando, come se andassero al ballo. I Tessali, ad eccezione dei Greci immigrati specialmente dopo il 1880, e che se ne erano fuggiti in massa, li accolsero come fratelli e ricoprirono tosto di firme un memorandum al Sultano, per mezzo del quale supplicavamo di non cedere alle pressioni esterne che voleano costringerlo alla retrocessione della loro provincia alla Grecia, che la avea depauperata, ed il giorno 19 giugno in Trikala i notabili di ogni religione, compresi i cristiani, inviavano un lungo dispaccio nello stesso senso al Gran Visir, a nome di tutti gli abitanti. I giornali di Atene e quelli filellenici di Europa spacciarono allora, con estrema leggerezza, che, sotto 1’ influenza e sotto la pressione dell’esercito turco, la Tessaglia si snaturalizzava; quasi che fosse possibile in due o tre mesi ciò che non era riuscito ai Greci in più di sedici anni di dominio diretto, validamente aiutato all’uopo dalla chiesa, dalla scuola, dalla stampa, dai tribunali, dalla lingua ufficiale, dalle guarnigioni militari, dall’infinita schiera di funzionari, d’impiegati e di avvocati; dalle immigra-