— 500 — zionarii di servirsi della lingua albanese, oltre che per gli affari d’ ufficio , per la corrispondenza privata. Se il governo italiano prendesse anche questa iniziativa, la sua autorità presso le popolazioni albanesi aumenterebbe considerevolmente, perchè il nostro paese avrebbe così tolto una delle cause di malcontento di quelle popolazioni. » Rispetto alle riforme egli non volle addentrarsi in particolari, ma chiese al Governo se si fosse formato un concetto chiaro. « Di fronte ad esse, vi sono due vie : la prima é quella di non curarsi se dalle riforme la Turchia venga rafforzata o indebolita, e questo concetto può anche essere in armonia con sentimenti nobilissimi; la seconda via è quella di curarsene, e siccome l’Italia ha interesse che l’integrità della Turchia venga mantenuta il più a lungo possibile, dato il nostro stato d’impreparazione, così con le riforme bisogna andar cauti, patrocinando quelle che non possono indebolire la compagine dell’ Impero ottomano ed affrettare una decadenza della Turchia, che non può essere utile all’Italia. » Domandò finalmente al Governo se intendesse prendere delle misure per favorire gl’interessi politici ed economici dell'Italia nel-l’Impero ottomano ed espose alcuni provvedimenti, specialmente rispetto alle linee di navigazione fra l’Italia e l’Albania, capaci di aumentare l’attività italiana nei territorii del Sultano. Il Ministro dichiarò di non poter rispondere partitamente ai quesiti proposti dall’ on. Di San Giuliano, ma che ad ogni modo si sarebbe giovato delle sue osservazioni, ed aggiunse che, rispetto alla questione balkanica, 1’ Italia si sarebbe studiata , come per lo innanzi, di mantenere lo statu quo, e che era disposta a mandare suoi ufficiali a comandare la gendarmeria in Macedonia, sebbene ancora non fosse giunta dalla Turchia alcuna domanda ufficiale in tal senso, per quanto, ove fosse giunta, egli si sentisse sicuro, per dichiarazioni analoghe avute, che !a Russia e l’Austria sarebbero lietissime di dare all’ Italia una prova della loro fiducia e d’averla compartecipe negli affari d’Oriente. Tali dichiarazioni non soddisfecero 1’ interpellante, perchè ritenute vaghe, generali e indeterminate, tanto da essere impossibile indovinare quale pensiero politico esse nascondessero. Esse però erano ben diverse da quelle espresse dal marchese Di Rudiuì, in un’ intervista apparsa il 1° marzo nell' Italie di Roma, in cui lo illustre statista, coerente alla politica estera disastrosa, nella specie, da lui inaugurata allorché stava a capo del governo d’Italia ed aveva anche la direzione del ministero degli esteri, volle dimostrare come convenisse all’ Italia, per veder favorite le sue tendenze e le sue aspirazioni verso l’Adriatico, aiutar l’Austria lealmente e coraggiosamente nello sviluppo di essa nei Balkani, nella sicurezza che essa, per equità internazionale, 1’ avrebbe trattata con pari lealtà ed amicizia , caso mai gli avvenimenti avessero