— 115 — il quale, dopo vari colloqui col Vali di Uskyp e cou Ishan Bey, inviato speciale del Sultano, partiva insieme a quest’ultimo alla volta di Costantinopoli, a capo d’una commissione di notabili, per presentare ad Abdul Hamid un esposto relativo alle condizioni deplorevoli dell’Albania e per manifestargli i bisogni e i desideri del popolo. Tale commissione veniva accolta con grandi onori all’ Yldiz Kiosk e la guardia imperiale albanese le faceva una calorosa dimostrazione di simpatia Una parte della stampa europea sospettò allora che Riza bey e i suoi compagni fossero trattenuti nella capitale in una specie di prigione dorata; senza dire che gl’ invidiosi e i maligni incominciarono ad insinuare che costoro erano andati a fare atto di sottomissione e a chiedere perdono al Padishà. Il vero è che essi fecero del loro meg'lio per condurre a buon fine la loro missione, con energia e con dig’nità; quantunque le lunghe trattative autorizzino a far credere che ad arte siano stati tenuti lontani dalla Patria per vari mesi, finché gli animi si fossero del tutto calmati. Nel mese di gennaio 1898, un iradé imperiale ordinala l’invio in Albania di sei funzionari speciali , due del Ministero dell’ interno, due di quello della Pubblica Istruzione e due dello Sheik-ul-Islamat, per lo studio delle riforme da apportar ivi ueU’amini-nistrazione delle scuole nazionali non esistenti, e di altre non meno importanti istituzioni, che naturalmente non furono mai praticate in seguito; come pure non fu fatto nulla per migliorare le condizioni materiali del popolo. Si cercò, è vero, di eccitare il fanatismo religioso dei musulmani , ma senza alcun risultato ; come appare dalle dichiarazioni di Riza bey, pubblicate addì 15 gennaio, dalla Nouvelle Presse libre. « Io, disse egli, non rappresento a Costantinopoli i soli maomettani del mio paese , ma anche i cristiani; poiché cristiani e maomettani siamo tutti eguali. Noi non riconosciamo che la razza , e le religioni quindi non ci dividono; sicché formiamo un popolo unico, godente gli stessi diritti, e che vive in perfetto accordo. I maomettani difendono i diritti dei cristiani e viceversa, e tutto ciò che si fa contro il diritto degli uni, lo riteniamo fatto contro quello degli altri. Noi rispettiamo i beni dei nostri fratelli cristiani, come se fossero i nostri; la casa del cristiano è sacra per noi, sacra è la sua famiglia ; noi non varcheremmo la soglia della sua porta, senza permesso; ed egli agisce nello stesso modo. Io ucciderei il mio proprio fratello, se egli osasse recare offesa ad un cristiano in casa mia, ed ogni cristiano, alla sua volta, farebbe la stessa cosa. Non viviamo in quartieri separati, poiché l’onore degli uni è anche l’onore degli altri. » Questi nobilissimi sentimenti corrispondono perfettamente a quelli che informano 1’ intervista apparsa qualche anno prima nella Patris di Bukarest, col titolo: Ciò che pensano gli Albanesi della Turchia e quale il loro scopo, e che è pregio dell’opera riportare, anche per le gravi considerazioni che contiene :