— 507 — La condotta ferma del governo italiano, energica e leale ad un tempo, di fronte all’Austria e alla Russia, come anche l’opera oculata della diplomazia italiana , che s’intravede specialmente fra le righe del Blue Book inglese, determinarono i gabinetti di Vienna e di Pietroburgo a meditare alquanto sulle conseguenze possibili di un nuovo orientamento che il bisogno supremo di difesa della propria dignità e dei proprii interessi avrebbero, senza dubbio, imposto all’ Italia nelle alleanze e in ogni altro amichevole rapporto internazionale ; essi quindi sollecitarono davvero dalla Porta la scelta di un generale italiano, cui fosse affidato l’incarico di riorganizzare la gendarmeria nei tre vìlayets oramai soggetti al controllo. Il Ministro degli esteri, Tewfik pascià, rispose subito che il Consiglio di Stato aveva presa in considerazione la opportunità di rivolgersi all’ Italia a tal uopo, ed il giorno 2 gennaio, infatti, Rechid Bey, ambasciatore turco a Roma , fece ufficialmente alla Consulta la l’elativa richiesta , ai sensi dell’ iradé firmato dal Sultano il giorno 30 dicembre. Del grave e delicato ufficio fu rivestito il generale De Georgis, al quale nell’udienza di presentazione, del giorno 5 febbraio, Abdul Hamid, accompagnando la frase col maligno e sinistro sorrisetto mefistofelico che gli è proprio, espresse la speranza di poter presto constatare tutta 1’ efficacia della sua opera. In sul proposito credetti di dover pubblicare alcune osservazioni, che altri ben potè affrettarsi a giudicare come ispirate ad eccessivo pessimismo, ma che furono invece perfettamente condivise allora da gravi personaggi e da una parte della stampa più autorevole : « Tutti i giornali d’Italia manifestano il loro compiacimento, perchè un generale italiano è stato scelto a riorganizzare la gendarmeria nei vilayets di Salonicco, di Kossovo e di Monastir , e molti di essi colgono l’occasione di elogiare l’opera degli ufficiali italiani in Creta. « Noi non possiamo nascondere il nostro pensiero , e diciamo, da una parte, che siamo lietissimi nel vedere che anche l’Italia mette mano nella Questione Balkanica, come speriamo che vorranno occuparsene direttamente anche la Francia e l'Inghilterra, affinchè ivi non restino arbitre l’Austria e la Russia. Ma, d’altra parte, ci preoccupiamo assai, nel dubbio ben fondato che queste due Grandi Potenze non cerchino di far nascere qualche ragione d’ inimicizia fra Italiani e Albanesi, per distruggere l’affetto reciproco di questi due popoli. Come fu ucciso il console russo in Mitrovizza ? E come fu ucciso l’altro a Monastir ? Osserviamo inoltre che in Creta ottantamila turchi non potevano mettere in armi più di quindicimila uomini; senza dire che i turchi di Creta sono bravi agricoltori e buoni commercianti; mentre gli Albanesi, che pare siano stati creati da Dio solo per maneggiare le armi, e che hanno dati e dànno alla Turchia i migliori e i più vaio-