— 28 — campo di Janina in aiuto dei Turchi, e se i Toski non si fossero ritirati, per serbarsi neutrali fra le parti belligeranti, sia perchè disgustati in certa guisa degli alleati, che contro loro insolentivano; sia perchè era stata ad essi promessa la deposizione d’Ismael Pacho Bey, che fu tosto eseguita, appena Arta venne di nuovo sottomessa. Ma l’ora fatale d’Alì era giunta; di giorno in giorno il suo presidio si assottigliava, per le continue diserzioni ; con lui erano rimasti poco più che cinquanta guardie nobili; tanto che gl’imperiali non tardarono a penetrare anche nel castello del lago. Allora egli chiese un abboccamento con qualcuno dei più alti ufficiali del Seraschiere, cui, dopo d’aver mostrato i suoi tesori e le enormi provviste di munizioni, fece osservare che la fortezza era tutta minata e disse che, ad un suo cenno, sarebbe saltata per aria, se gli Osmanli non si fossero tosto ritirati completamente, prima di stabilire le condizioni della pace. Vecchio e ridotto oramai agli estremi, nulla più importavagli della vita e tali immani funerali lo lusingavano. Fu obbedito all’ istante e Kurshid si affrettò a promettergli 1’ invocato perdono da parte del Sultano; anzi a’ 10 di gennaio 1822, gli fe’ pervenire un atto sottoscritto da sessanta fra i principali del suo esercito , col quale costoro obbligavansi sul proprio onore di appoggiare presso il Divano la domanda di grazia. Il giorno 27 gli fu detto che in breve il decreto sarebbe venuto e frattanto Kurshid lo pregava di volergli permettere di visitarlo sull’isola del lago, nel kiosco che All aveva fatto costruire in tempi più felici. La proposta fu accettata ed egli vi fe’ trasportare Yasilikji con le sue gioie e parecchie casse di denaro; quindi vi si recò egli stesso, accompagnato da una ventina di uomini. Passarono alcuni giorni e Kurshid non veniva , adducendo il pretesto di qualche indisposizione. Nel giorno 5 febbraio si presentò a lui Hassan pascià, annunziandogli che il firmano tanto atteso era finalmente giunto; però lo pregava di ordinare al fido Selim, che stava sempre pronto a dar fuoco alle polveri del castello, di spegnere la miccia fatale. A tale richiesta Alì si mise in sospetto e rispose essere necessario che un tale ordine fosse dato da lui in persona al terribile custode del fuoco. Dopo molto discutere, cedette e consegnò ad Hassan un gioiello, alla cui vista Selim inchinossi, dichiarandosi pronto ad obbedire agli ordini che il suo signore gli mandava. Ma appena spento il iuoco, costui veniva tosto pugnalato. A mezzogiorno Alì perdette ogni illusione; le guardie che gli stavano intorno preparavano le cartucce. Egli, secondo era suo costume, sedeva alla porta del kiosco, per essere il primo a vedere chi entrasse. Alle cinque della sera ritornò Hassan pascià, seguito da altri ufficiali e soldati. Alla loro vista Alì balzò in piedi, e mettendo mano alle pistole