— 206 - scopo pure di « resistir e fer la guerra al gran Turch; » che altro denaro venne consegnato al medesimo « per pagar lo loguer de « les besties que porten de Napols lins a Trana les armes sues « e de XV spingardes qui van ab eli a sou del dit senyor en « Albania »; che altri soccorsi spediva Alfonso nel 1457, e che il 22 aprile faceva dare a « Cola de Alba terra de sant Sever e a « Iohannoco de Agostino carraters vint e quatre due. per loguer « de IIII carros a raho de VI d. lo carro per portar les armes « de certs archers e ballesters que lo senyor Rey trainet en Albania « fìns Trans », e che altri arcieri e balestrieri furono mandati in Albania, ag-li ordini dell’ inglese cav. Giovanni di Newport. Gran parte di questi aiuti Skanderbeg li avea richiesti, per resistere alla nuova invasione turca, provocata dal tradimento di suo nipote Hamza, che, sconfitto e preso prigioniero da Zaccaria Groppa, fu dallo Zio mandato a Napoli in catene. Egli vi fu condotto da Nicola Zaccaria e da Teodoro Voivoda, i quali, in nome del Principe, presentarono al Re dodici corsieri turchi riccamente bardamentati, quattro bandiere ottomane e il padiglione di Daut pascià, e ricevevano graziosamente da lui un privilegio, e per fino il denaro occorrente per la registrazione di esso. La morte di Alfonso riuscì oltremodo dolorosa agli Albanesi e a Skanderbeg, il quale mandò subito a Napoli Tanusio Thopia, Vladeni Gjurizza e Angelo Musacchio per presentare al Re Ferdinando le sue condoglianze e, nello stesso tempo, gli augurii per la assunzione di lui al trono, e naturalmente per confermare e rinvigorire le relazioni già esistenti. A dir vero , rispetto agli Albanesi, il nuovo re continuò la politica paterna, e quando, per la congiura dei principi di Taranto e di Rossano, del marchese di Cotrone, del duca d’Atri, del conte di Conversano, i quali aveano offerta la corona a Giovanni d’Angiò, si vide ridotto a mal partito, in buon punto seppe avvalersi dell’amicizia di Skanderbeg, il cui ausilio sollecitò per mezzo di Marco Caravasio, suo messo speciale. L’ eroe spedì senz’altro Martino Musacchio al Papa, a fine di prevenirlo dell’aiuto che era disposto a recare personalmente al Re di Napoli, e quando gli fu possibile, lasciò alla Principessa Donika, sua moglie, a Pietro Angelo e ad Anastasio Rumizi le cure dello Stato, e nel luglio del 1461, affidando il comando del l’avanguardia a Giovanni Strezi, sbarcò con buon nerbo di valorosi in Italia, dove, col suo braccio e col suo senno, contribuì a preferenza d’ogni altro a rassodare il potere dell’ Aragonese, dal quale ebbe, in ricompensa, considerevoli sussidi in denaro, ricche armature, trofei di guerra, cavalli e vettovaglie, oltre che S. Pietro in Galatina, come feudo, e parecchi altri territori, e secondo molti storici, anche Trani, Siponto e S. Giovanni Rotondo. Liberatosi dai nemici interni, Ferdinando rivolse la sua attenzione ai mali che minacciavano il suo regno e l’Italia tutta dal