— 101 — quell’ importantissima Colonia ben sapeano di non essere affatto greci , quantunque l’ignoranza dei vicini li avesse g'ià da poco tempo battezzati per tali , sostituendo con quello di Piana dei Greci l’antico nome di Plana Albanensiim, che leggesi in tutti i monumenti e in tutti gli atti pubblici, fino al principio del secolo testé scorso. Ad essa però non intendiamo attribuire tutta quella malizia, della quale ci dà diritto di sospettare la condotta degli uomini politici di Atene a nostro riguardo; anche perchè essa fu dettata in momenti supremi ed inspirata a nobili sensi di verace amore verso la patria, e solo ne facciamo qui un rapido cenno, per la sua importanza storica, per l’odio che traspira profondo ed urente contro il turco, che vi è-ben definito velenosa bestia feroce, la cui legittima dote e naturale 'proprietà è la peste ; come pure per la strana convinzione che gli Albanesi siano Greci, ed in fine perchè suoni amaro rimprovero all’attuale politica del Gabinetto di Atene, così presto immemore delle più sacre e recenti tradizioni. Or rileviamo col Momement Macedonien che la Grecia, assuefatta a considerare il popolo albanese come appartenente alla sua razza, segue con vivo dispetto il risveglio di lui; poiché vede sottrarsi alla sua influenza un paese, l’annessione del quale essa considerava più o meno prossima. Poco tempo fa, secondo quel giornale, il Comitato di Bukarest aveva deciso di pubblicare il Dizionario del Kristoforidhi, ed erano bene avviate le trattative col figlio dell’autore; quando il console greco di Durazzo, essendo venuto a conoscenza di ciò, fece chiamare costui, insieme a due altri notabili di Elbassan, e promise loro una vistosa somma di denaro, se avessero consegnato a lui il manoscritto per darlo alla luce. Costoro, senza alcun sospetto, aderirono di buon animo; ma l’onorevole console li accusò tosto di far parte del Comitato rivoluzionario, e tutti e tre furono imprigionati, prima che egli avesse cacciato il becco d’un quattrino ! Il manoscritto fu inviato in Atene, dove il governo però non ebbe il coraggio di distruggerlo, anche per il rumore che si levò in Europa, in seguito a tanta perfidia. Ma se pure avesse consumato dalla parte sua anche un tal delitto, la nostra letteratura non ne avrebbe risentito alcun danno, poiché l’opera del Kristoforidhi non sarebbe andata perduta. Negli ultimi tempi il dispetto, di cui nel numero del 15 giugno del 1902 faceva cenno il periodico sopra citato, raggiunse proporzioni ancor più gravi. Fallita l’azione del preteso Comitato greco-albanese ; della supposta Lega epirota e della sedicente Unione albano-greca, i nostri avversari hanno gittata la maschera ed hanno ripresa a trattare, con la maggiore lena di cui sono capaci, la tesi oramai disperata della grecità dell’Epiro e della intrusione degli Albanesi in quelle contrade.