— 116 — « Un letterato turco-albanese, passando per Atene, in un colloquio avuto con un giornalista, si espresse così: Non posso comprendere come i vostri Greci chiamino noi turco-albanesi; mentre noi non siamo nè turco-albanesi nè greco-albanesi; ma semplice-mente Albanesi. Sotto l’aspetto religioso, siamo maomettani o cristiani; però per nazionalità restiamo sempre Albanesi. Quando capirete che 1’ idea nostra nazionale è profondamente radicata nella nostra razza; quando apprenderete dalla Storia che non siamo un popolo che di leggieri si sottometta; non sarà giusto che crediate che noi potessimo fonderci con questo o con quell’ altro stato; ma vi persuaderete meglio che il nostro egoismo nazionale spingerà pure noi una volta alla conquista dei nostri ideali. Non voghiate credere che noi desideriamo si continui nella presente situazione; quanti ciò ritengono, grandemente s’ingannano, perchè noi la tolleriamo malvolentieri. Le non rare nostre ribellioni e l’abituale nostra indole bellicosa, sono per noi una seconda natura. Parimenti se considerate che tutte le nostre insurrezioni furono causate dalle ingiustizie inflitteci dai turchi, e che tra loro i giovani turchi più risoluti sono Albanesi; non la penserete come molti; ma vi convincerete che tutti i nostri passi mirano ;il miglioramento della presente nostra situazione. Mi domandate se nutriamo speranza d un’ egemonia propria ? Vi rispondo che sebbene ciò vivamente desideriamo, pure dovete ritenere per fermo che non ci sapremmo unire con altro stato, senza difendere la nostra nazionalità e la lingua nostra. Come esempio vi porgo le relazioni dell’Ungheria coll’Austria, Diffidando assai di tutti, vagheggiamo sempre l’idea d’una egemonia albanese. Credete forse che il contracolpo del movimento macedonico sia stato prodotto dai Bulgari e dai Turchi ? Giammai: sono i volenterosi Albanesi che, insorgendo, incitano alla riscossa e racccolgono le membra sparse; sì che contro di essi non è buono a tenere dietro l’eser cito turco. Inoltre la maggior parte degl’insorti sono nostri bravi Albanesi cristiani. Da ciò potete desumere che cosa non sarebbe possibile se, composto il dissidio religioso, si addivenisse ad un sincero accordo fra noi. I migliori, i benestanti fra i maomettani albanesi, a poco a poco inciterebbero gli animi del popolo alle armi, e giunta l’ora fatale, tutti correrebbero stretti al comune ag’one, e di certo spazzerebbero via tutti i falsi propagandisti e con essi tutti i mezzi coi quali tendono insidiosamente a conquistare quelle regioni con le quali non hanno rapporti di sorta. Presentemente staremo, almeno in apparenza, inoperosi; ina caso mai avvenisse lo smembramento della Turchia; noi Albanesi sapremo, con le armi in pugno, tutelare e difendere la nostra indipendenza. » Insigniti di alti gradi militari e di nuovi titoli onorifici, Riza bey e gli altri delegati ritornarono finalmente in Patria , dopo d’aver giurato solennemente al Sultano, insieme a Ivemal Bey,