— 100 — tiva di Ali da Tebelen. L’opera loro sarebbe stata degna di encomio, se si fossero limitati a rendere in certa guisa, e per debito di gratitudine, al forte popolo finitimo una parte almeno di quei disinteressati servigi e benefici che ne avean ricevuti, e se non ne avessero fin da allora , senza generosità, tentata l’ellenizza-zione coll’industriarsi a cancellare nell’animo degli Albanesi ortodossi l’idea nazionale, da tanti secoli gelosamente conservata, nutrita e difesa. Un’ignorante turba di falsi sacerdoti è stata sguinzagliata nel-P Epiro , nella Tessaglia, nell’ Uliria e nella Macedonia col fine di mettere discordie ; e costoro, non dissimili per nulla dai più fanatici preti musulmani e dai missionari cattolici venduti all’Austria, della credenza in Dio si sono serviti e si servono per aizzare gli uni contro gli altri e per suscitare sanguinosi conflitti. Che nella loro azione deleteria e nefanda sia stato sempre estraneo lo spirito religioso, è superfluo rilevarlo; poiché è noto come alcuni tra i Greci, per quanto eccessivamente religiosi, non siano credenti e non si trattengano dallo screditare, come meglio sanno e possono, la stessa fede ortodossa, se il tornaconto nazionale faccia ritener loro che ciò sia necessario. Della religione tentarono di avvalersi, fin dal 1825, per attirare le colonie albanesi d’Italia; promisero mari e monti, pur di sollecitarne gli aiuti che non furono negati, e non ebbero nemmeno l’accortezza di rispettare anche in apparenza la propria confessione, che uflìcialmente e pubblicamente disapprovarono. Ben sapevano essi che, fino a tanto che non avessero acquistato 1’ appoggio delle suddette Colonie, a nulla sarebbero approdate le loro mire sull’Albania; temendo a buon diritto che i discendenti dei commilitoni di Skanderbeg si sarebbero affrettati a far valere davanti all’ Europa le ragioni della madre patria e ad aprire gli occhi ai loro insidiati fratelli. Un documento da noi esumato e messo in luce, conferma quanto qui per sommi capi abbiamo riferito. Esso è redatto con tanta arte, da commuovere colui che lo legge, quantunque pecchi, anzi che no, nella forma e nell’ortografia. È una circolare manoscritta in g-reco moderno ed in italiano, datata a Roma 16 luglio 1825, tutta di pugno e a firma del capitano Nicola Kjefalà di Zante , in quel tempo Commissario della Grecia risorta presso la S. Sede, e spedita da costui da Livorno, addì 12 agosto 1826, aH’Arciprete di Piana Papas Giorgio Matranga , che fu uno dei più dotti e dei più fervidi sostenitori delle nostre costumanze e dei nostri riti, in quel tristo periodo della nostra storia, in cui gli Arcivescovi di Morreale, di Palermo e di Girgenti cospiravano per estirpare dalle rispettive diocesi il culto religioso orientale, che a loro dispetto si professa sempre dalle Colonie Albanesi della Sicilia. L’anno precedente la stessa circolare era stata mandata in Piana dal Kjefalà, senza produrre alcun effetto; poiché gli Albanesi di