— 6 — dall’ ardore bellicoso, talvolta gli Albanesi hanno scambiato l’entusiasmo delle armi per l’indipendenza, la gloria militare per la idea di patria e di libertà , la spada per la fede. Ma 1’ idea di Patria non è per nulla a costoro estranea, come a qualcuno è piaciuto di far credere, e non di rado nelle canzoni la Patria viene sopra ogni cosa esaltata, e in qualcuna di esse è delicatamente paragonata alla madre che dà il latte per il nutrimento dei figli; alla sposa che risveglia nei cuori l’amore e la tenerezza. Osserva il Pouqueville che gli Albanesi sono pieni di entusiasmo per il loro paese, e non ne parlano che innalzandolo al di sopra di ogni altro, e che sebbene stabiliscansi di quando in quando in altre regioni, non levano mai lo sguardo dalle montagne dell’ Epiro. Non si ricordano più delle privazioni a cui erano colà soggetti; dei ripetuti pericoli ai quali andavano incontro, bensì dell’ indi-pendenza di cui godevano, e non possono dimenticare l’umile tetto dove nacquero, quelle rupi sulle quali andavano errando, le valli dove passarono 1’ infanzia, e tanti altri oggetti che molto dicono al cuore specialmente di chi vive in uno stato presso a quello di natura. L’esattezza .di tale osservazione appare ancor meglio dal fatto che gli Albanesi, i quali da più che quattro secoli trovansi nelle fertili e floride regioni dell’Italia meridionale e della Sicilia, fino ad oggi, con estrema tenerezza, ricordano i luoghi della loro antica * origine, e un’infinita nostalgia che commuove fino al pianto, manifestano nella mag-gior parte dei canti tradizionali e popolari. Nella terra dell esilio digli avi noi non abbiamo potuto perfettamente acclimarci, e dopo sì lungo volgere di tempo, non ostanti i commerci frequenti coll’elemento eterogeneo dal quale siamo circondati, conserviamo sempre la nostra lingua, i nostri riti religiosi, i nostri costumi, e quasi senza distinzione, in questa nostra cara ed ospitale Italia, tutti in fondo ci sentiamo alquanto stranieri. Ben lo sanno quanto gli Shkjiptari amino la loro terra, oltre che i Turchi, l’Austria, che da gran tempo si sforza di fare sua propaganda fra i Gheghi, giovandosi delle missioni cattoliche; la Grecia, che , a costo di alienarsi 1’ animo di quanti la abbiamo amata, pretende di estendersi, oltre che nella Tessaglia, anche nella Macedonia e nell’Epiro, dove sa però, per dolorosa esperienza, che le è diventato oramai impossibile l’insinuarsi; il Montenegro, cui certamente per la virtù del suo augusto Principe, è riserbato un grande avvenire fra gli Slavi, ma che, per i buoni uffici della Russia e con la complicità di altre Potenze, ingranditosi a spese dell’Albania, vuoisi che non disdegnerebbe di addentrarsi nel cuore di essa, pur non illudendosi che non facilmente gli riuscirà di far tacere del tutto i sentimenti più teneri, più profondi e più nobili che dipendono dall’amor sublime verso la patria e che ad esso si riconnettono, in quelle terre dove è riuscito ad assicurare la tranquillità e a sostenere la giustizia con vigile industria e con illu-