— Il Signore vi conservi in vita, e vi conceda giorni ed anni. Più bella ancora diventa questa canzone se i versi 30, 40 e 5“ si ritengono per risposta della sposa in vece di una domanda fatta ad essa, come si è visto sopra nel frammento D. R. Le parole con le quali risponde la sposa alle amiche che le domandano perchè mai sia tanto bella, e la domanda stessa, si trovano anche nel carme nuziale D. R. con poche varianti, tra le quali questa che mi pare molto giusta. « Me vetmeen hjea lulszoi » = da per sé l’avvenenza m’è fiorita. Il De Rada, col suo solito acume, a ragione vede nella metafora del melo un simbolo della verginale purezza. L’ultimo d’aprile la nuova sposa andava a cogliere fiori. La canzone qui appresso si riferisce a questa costumanza. Mèmsza mè dèrgchoi pèr Me; me njé purték u drodha shumè. Rraha malet e pèrrónjeszit, e gjith fùshaszit me lule. Prua mbljodha njè tuf lule. Ckoi praa Nikool Reali (?), tufèn lule gjith m’e <;prishi. Mè vién t’e nèm e mos t’e nèm... — T$è i platgit diali ndè diebè ! La mamnu mi mindò a cogliere fiori, con un virgulto io ne intrecciai molti. Errai per monti e per valli, e per pianure piene di fiori, e feci un bel mazzetto. Passò di là Nicola Reale ??), e mi disperse tutti i fiori. Vorrei maledirlo e non vorrei... — Che gli crepi il figlioletto nella cuna I 25» Cosi è riportata dal Crispi; ma io credo che il verso 2° debba stare nel posto del 6°. Somigliante alla riferita è la canzone seguente, pubblicati anche dal De Rada, con quilche variante, nel carme nuziale; e che accenna, secondo quello che dice il venerando poeta, all’auendore che si riuniscano tutti i parenti invititi dalla sposa, giusti il costume, per l’invio dei mazzetti di fiori. U e bùkura me ku vent, bura lulet tufa tufa; gjith gjrivet ja dérgchova, gjith gjitónevet ja spèndova. Io bella ovunque, legai fiori a mazzetti, e li mandai a tutti i parenti, e li divisi a tutti i vicini. Nel primo giorno di maggio si vedono tuttora nelle porte dei poveri e nelle finestre dei ricchi corone di fiori pendenti da nastri, e sono segni di sposi novelli, o prossimi a sposarsi. Nelle feste di S. Martino in Palazzo Adriano si fa ancora alla sposa il dono della pela. Si legge nell’op. cit. del Dirsi che nelle colonie di Cilabria alla vigilia del giorno che precede le solennità del matrimonio, le amiche e i parenti più lontani di rappo rti presentano la sposa di nastri e merletti; e le vicine alla loro volta di una grande focaccia (la pela), atta solo a quel rito, su la quale veggonsi rilevati guerrieri ed uccelli, esprimenti gli uni lo stato eroico della nazione, e ?li altri le colombe, le pernici, gli sparvieri che in densi nugoli svolazzano continuamente sui Cerauni e sul Bora. Io però credo che tra le figure in rilievo della peti i guerrieri siano una specie d' augurio che si fa alla sposi perchè possa dare alla patria figli ‘ )r'i; e gli uccelli si riferiscano alle frequenti imagini dei canti nu-2'ali, tolte dalle varie specie di quelli. In fatti lo sposo è paragonato ad uno sparviero che piomba tra uno stormo di pernici e rapace la più bella. Quest’ultima similitudine e la usanza accennata nella nota 13® mostrano come gli antichissimi padri nostri a guisa 259