avendo mestiero ella non gli impedisse il vogare, et facendone bisogno potesse con prestezza maneggiarla come conviene, parendomi che tal arma più a costui che ad altro galeotto convenisse per essergli più degli altri libero et più spedito a poterla adoperare. Havendo per la vicinità della corsia dove egli in quel caso agevolmente può salire, comodità di riporla sotto la pavesata et di rihaverla in un subito, il che non avviene a ciascuno degli altri. Volli che il secondo che ha luogo appresso il pianerò (da noi detto posticcio) tenesse un grande arco di questa forma che sogliano usar gli huomini del nostro contado et con quello montando sopra il bancho offendesse a tutto suo potere i nemici. Il tercichio che è ristretto tra la pavesata et i doi sopradetti, non havendo egli per la strettezza del luogo et comodità di maneggiar altre armi, parventi che egli fosse intento a lanciar palle di piombo, pietre et altri somiglianti istromenti, onde, come dissi di sopra, hebbi molta cura che ne fosse molta abondanza nella mia galera. Et come che in questo tale essercitio disponessi tutti i tercichi, in altro poi tenni sempre occupati quei due che sono uno per parte di rimpetto all’arbore ponendo in mano a questi una hasta longhissima come di picca, il ferro della quale fosse in guisa di falce et tagliatissimo il più che si puote acciochè meglio et più facilmente questo effetto facessero. Il che io compresi che agli adversari doppiamente sarebbe dannoso parte perchè quell’ impaccio impedirebbe loro l’adoprarsi liberamente per la galea, che pure in una battaglia è somamente necessario, et parte perchè perderebbono essi in tutto la speranza o di fuggirsi, essendo noi più di loro possenti, o di seguirci quando loro cedessimo. La qual cosa (si come nelle historie si legge), da gli antichi cauti et giuditiosi ricercatori dell’utile loro fu già con somma diligentia osservata. Onde io ammiro le vittorie loro et stimo che elle avvenissero anzi dalla buona disciplina che dalla felicità della fortuna. M’ingegno perciò imitandoli quanto io posso et quanto dalla mia debolezza m’è conceduto d’essere simile a loro poiché le loro pro- [ 136]