*V ^ T J EDESI ASSAI CHIARAMENTE, honoratissimo Mr. Nicolò, » la fortuna ha ver gran forza nelle cose humane, ma molto più nelli avvenimenti della guerra; perciochè sovente contra i ragionevoli discorsi degli huomini sortiscono le vittorie et ogni piccolo accidente fa il Capitano di vincitore perdente. Di qui fumo alcuni che la grandezza di Alessandro Magno et dei Romani più a fortuna che a virtù attribuirono; nondimeno se vogliamo con diligentia considerare alle molte doti dell’ingegno dell’huomo verremo indubitatamente a conchiudere che ciascuno, come dir solevano gli antichi, è artefice della sua fortuna. Vinse Annibaie i Romani et da poi, per non saper prendere l’occasione che la sua virtù li haveva posta in anzi, fu vinto da Scipione. Cesare all’incontro haveva perduta la giornata con Pompeo ma l’ardire et la prudenza lo fece vincitore. Dirò bene che si come il valore deve esser guida et anima del capitano così è mestiero che egli sempre sia accompagnato dalla fortuna, senza le quali due parti esso non può già mai pervenire a verun termine di gloria. Perciochè è più bella laude il perdere per colpa di disavventura che vincere per cagione di fortuna. E chi è colui (parlo di quelli che sono riscaldati solamente da desiderio di honore) che non desideri più tosto nome di valoroso che di fortunato capitano ? Certo che io mi creda sicuro che del giu-ditio del volgo sciocco (il quale suole estimare la prodezza di qualunque Capitano solo dalla qualità degli avvenimenti) non è da tenerne conto, chi fa quel che deve se ben perde non merita biasmo perchè