invidiato tesoro librario, tale da poter fin da allora rivaleggiare con la celebre Laurenziana fiorentina, oggi questa antica, celebre Sala è tornata ad essere la sede augusta e mirabile della Libreria di San Marco, dal suo primo fondatore auspicata grande e famosa. LA ZECCA (fig. 7 - 8). Quando, con deliberazione del Consiglio dei X, il 4 dicembre 1535, venne deciso di rifabbricare la Zecca « tutta in volto », dando incarico a « tre maistri de fabriche » di preparare progetti tra cui poi si sarebbe scelto il modello definitivo, la Zecca occupava un vecchio fabbricato prospiciente sul Molo, tra le « Pescaria » e la « Beccaria », reso malsicuro e inadatto ai nuovi bisogni e rovinoso dagli anni, dove anche nel 1532, come ebbe a ricordare il Sañudo nei suoi Diari, era scoppiato un pericoloso incendio. Circa quattro mesi dopo, i tre modelli erano già preparati e il 23 marzo 1536 il Consiglio dei X, radunato per esaminarli, sceglieva il progetto ideato da Jacopo San-sovino. 11 i° marzo 1537 il maestro fiorentino veniva assunto dai Provveditori di Zecca in qualità di « proto » della nuova fabbrica : iniziata tosto la costruzione e data mano probabilmente ai lavori dall’avancorpo verso il Molo, si era ormai giunti, nel novembre dello stesso anno, al soffitto, a cui seguì poi la costruzione del corpo di fabbrica corrispondente al vasto cortile interno: nel 1545 sotto il Dogado di Francesco Donà, la Zecca poteva considerarsi compiuta e due anni dopo, alla fine del 1547, « essendo ormai essa Cecha da certo tempo in quà redotta in boni termini », il Sansovino dopo undici anni di lavoro, lasciava definitivamente la sua carica di « proto ». Secondo la « scrittura », ancora oggi esistente, con cui il Sansovino nel 1536 accompagnava il suo progetto illustrandolo e descrivendolo parte a parte, la Zecca appariva formata essenzialmente, come lo è tuttora, di due corpi di fabbrica : un vasto cortile, intorno a cui su tre lati si aprivano botteghe, magazzini ed uffici, occupava l’ala verso tramontana; sul lato opposto verso mezzogiorno si stendeva un avancorpo formato dalla « Loza grande » o « sottoportego », su cui si aprivano i due rami di scale e alle due estremità, 1 uno in faccia all’altro, i due ingressi per acqua e per terra, e infine dai cinque ambienti a volta, non prospicienti direttamente sul Molo, ma confinanti con una fila di botteghe di « casaroli », proprietà della. 66