tembre 1550, ebbe infatti a dichiarare che, avendogli « ... Il Sr. Ambasciatore di V.a Ecc.tia richiesto ch’io dovessi far una statua d’Hercole per un gentilhuomo ferrarese, m’accordai seco, con animo di farla fare a qualche mio giovane guidandolo e correggendol’io, senza porvi le mani com’io soglio far qua di molte altre sculture non havendo tempo per esser impedito nè le fabbriche delle quali ho carico, di scolpir di mia mano ». La sua bottega accanto alla casa in piazza S. Marco, presso POrologio, l’Accademia, come l’Aretino la chiamava, era il centro di lavoro a cui affluivano i giovani artisti, o giunti di Toscana, come il Tribolo, PAmmanati, Danese Cattaneo, o venuti da Padova come Tiziano Minio, il Segala, l’Aspetti, o scesi giù dal Trentino, come il più grande di tutti i suoi allievi, il vero continuatore dell’arte sua, Alessandro Vittoria. Sono in gran parte ricordati questi suoi collaboratori in notizie documentarie, nelle quietanze di pagamento con cui la Procuratia ricompensava l’aiuto da loro dato al Maestro nelle opere che egli veniva preparando per la Basilica, come i sei rilievi con i Miracoli di san Marco posti ad ornamento dei due « pergoli » ai lati del Presbiterio, o la bronzea Porta della Sacrestia, in cui i caratteri di origine toscana, donatelliana, specie nei due rilievi centrali della Risurrezione e della Deposizione di Cristo, si intrecciano a forme e a ricordi michelangioleschi nei tipi e negli atteggiamenti delle piccole figure di Profeti. Ma dove l’imitazione michelangiolesca rasenta quasi il plagio è specialmente in una delle quattro statuette di Evangelisti, posti in S. Marco sulla balaustrata dell’altar maggiore : il ricordo del Mosè michelangiolesco balza spontaneo ed evidente. La operosità scultorea del Sansovino presenta spesso di queste rievocazioni, di questi ritorni improvvisi e fra loro contrastanti, a modelli, a forme, a tendenze su cui, come dicemmo, venne formandosi la sua educazione giovanile. Se precise testimonianze non ce ne dessero infatti sicura garanzia, a mala pena poi potremmo credere che mentre mastro Jacopo stava faticando attorno ai colossali modelli dei due giganti del Marte e del Nettuno di Palazzo Ducale, classici, michelangioleschi nell’ideazione e nell’esecuzione, dalle sue mani uscissero fiori di gra-grazia sentimentale, e di eleganza tutta toscana, come l’Apollo della Loggetta, l’ispirata, quasi veronesiana statua della Fede nel Monumento Venier a S. Salvatore, sorella alle belle cariatidi da Camino della Villa Donà a Ponte Casale, e la deliziosa statuetta del Battista, 36