— 12 — cui sonito oggi ancora sulla sponda irredenta brillano luci di speranza : il nome di San Marco ! Sino la prava gente dava dono di energia a Venezia, i rei : torsi e braccia michelangiolesche, che col saldo legno di cipresso imprimevano celere vita alla galera, i delinquenti disposti a quattro a quattro sui banchi, strumenti di fatica, macchine umane, demoniache in aspetto nell’istante della stretta che condurrà allo sterminio, alla vittoria. Da ogni limpido o torbido rivo fluisce alla Dominante lo splendore. Già essa ha lanciato per ignote vie i suoi viaggiatori, già Marco Polo detto allora « sommo fra i viaggiatori di tutti i secoli » ha dettato il piccolo immenso Milione, già molte sono le famiglie ricche o facoltose ancorché, come gli Ziani, non abbiano scoperta la vacca d’oro nei recinti sacri a Giunone, già lo zecchino completa la forma del corno ducale e trova falsari nei genovesi di Scio e di Metelino, nei principi francesi di Dombes e di Trevoux, e l’oro invita le arti (qui Nordau sorride) a giocondare la città di nuovi palazzi, di scolture, di affreschi, di tavole sublimi. Città essenzialmente musicale, Venezia associa alla scioltezza delle linee architettoniche sentimento e vigore, e il vivo lume del colore e lo scintillio dell’oro che infiamma il gotico prezioso di dentelli e di smerlettature dan forma anch’essi a una melodia che se non è ancor Beethoven è già più che Chopin. Il colore era un linguaggio necessario d’ogni atteggiamento della vita pubblica o privata e lo fu sempre, ancorché tardo a comparire, forse perchè tardo a comparire. Quando Dante vedeva in Giotto il superatore di Cimabue, cioè il più grande restauratore del genio ita-