- 115 - sero scure segrete, rinserrassero l’affanno della gente caduta. Francesco Foscari e Agostino Barbarigo sono i due nomi ai quali si lega la più alta vicenda artistica di codesta mole : l’uno, il dolente che fu dimesso dal trono col pretesto d’impotenza a più governare e che rappresenta colla sua rinnovata, riabilitata figura, genuflessa sulla porta d’oro, il protettore della esterna bellezza; l’altro, cui non fu permesso di dimettersi e fu tutto propizio alla grandiosità dell’interno. Accanto a quello i Bon, accanto a questo Antonio Rizzo. Mente dai vasti orizzonti quella del Rizzo, dai pronti espedienti estetici per risolvere le molte difficoltà che l’antica mura semicombusta nel 1483 opponeva — quasi ribelle — ai nuovi adattamenti. Vedeva, egli, per ampiezze riassuntive la costruzione gagliarda da concretare, si lasciava cogliere dall’ebbrezza della ispirazione. superava l’ostacolo con arguto o ardito gioco d’interferenze prospettiche, poi, giunta l’ora di affidare ad arcate, a pilastri, a fregi, a capitelli una espressiva nobiltà ornamentale, socchiudeva l’occhio largo, pieno di sintesi, per fissar minuziosi, graziosi motivi da cesello, contesti di emblemi e di sigle, suggeriti dall’estro suo o dagli intenti politici e morali dei Savi preposti alla fabbrica. Eppure non diede un capo d’opera; tale gli riesci soltanto la scalea, quella che più gli imponeva costrizione perchè intera doveva apparire dalla porta principale sul breve fondo spaziale limitato dall’arco Foscari, perchè di rigore impostata su tre archi della loggia, perchè in asse coll’arco anzidetto, perchè imponente, fastosa, regale : introibo sinfonico del bello e del grande che il palazzo custodiva.