- 64 - In realtà, essi prendevano da Levante, raffinavano, davano alla cosa un alito proprio; ma ciò va detto con relatività perchè il canone stilistico metteva molte remore alla perspicua rinnovazione. E il canone veniva da Monte Athos. Severamente canonici dovevano essere i mosaici che ordinò in San Marco il Selvo. Anzi rigidi e fermi. Forse egli li volle perchè ella, la porfìrogenita, glieli suggerì. E i primi smalti salirono sulle pareti della basilica mondiale. Salirono ? Non operò, dapprima, il mosaicista, inginocchiato, a compor simboli floreali o fauneschi, litostrati di raro splendore, lussureggianti di motivi ornamentali, di fascie, di fregi, di meandri, sul pavimento ondeggiante? Questo, invero, pensiamo. E ben si addiceva il suo atteggiamento alla figurativa eloquenza che anche dalle minuscole pietre doveva salire a francar lo spirito della creatura china, umiliata; bene esso concordava colla saggezza che consigliavalo a trascegliere, fra tanta dovizia di esemplari, i più vaghi e noti e affermati come la purissima colomba e l’aquila che ad ali sparte significa la resurrezione di Cristo, e il Pegaso emblema della fede che innalza l’anima alle divine gioie, e i palmizi che dicono vittoria e trionfo, e il pavone che parla d’immortalità e il rinoceronte e il grifo e i galli che portano captiva la volpe e racemi e ghirlande e vasi che danno all'insieme un ritmo, un accordo un favoloso castone. È un salmo che il mosaicista compone, il salmo dell’osservanza al rituale della simbolografia cristiana, spesso ricreata paganità pur ieri catecumena come Orfeo e la Sirena, un salmo alessandrino di cui la nota è tessera lucente, d’un lucore che par lagrima non sai se di angoscia o di consolazione.