— 77 — Provvida invidia se il Santuario che i veneziani gli eressero fu cagione di una nobile gara tra gli Stati italiani per creare sontuosità leggiadre (destinate talora, bensì, ad illudere sul grado di politica saldezza) e se anche da ciò ebbe spinta il rinascere dell’arte nostra ! Belli i monumenti che sorsero da codesta gara, ma la basilica veneziana non vi si affratella, poiché mentre quelli sono espressioni di un momento dell’arte, della storia, del pensiero umano, essa per successione di sviluppi, di rinnovazioni, di trasformazioni è indice vivente della vicenda di più di otto secoli e pur nel tramonto repubblicano riscatta per virtù del Dal Pozzo le residue energie dell’arte musiva italiana. Ed è squisitamente aristocratica, dogale. Per essa non diede l’operaio gratuito lavoro, non il negoziante contribuì colle sue merci, nè la meretrice offrì il barilotto di vino : ornata colla magnificenza d’una basilissa, tutti i secoli sino ad oltre la rinascenza le fecero doni maravigliosi, ma ogni stile nell’adattarsi alla sua veste acquistò una finezza, un gusto che trascese il suo carattere originale. Sembra che gli esponenti estetici delle diverse età non possano aderire ad essa che piegati, plasmati ad una sua singolare realità emozionale. Certo è l’immenso favo a cui le api portarono il miele succhiato da innumerevoli corolle in paradisiache primavere d’arte. Firenze, forse, già guardava ad essa, il cui splendore era in sì rapido divenire, nel decretare (1294) l’erezione della sua cattedrale in guisa che l’industria e il potere degli uomini nè inventassero nè intraprendessero mai nulla di più vasto e di più bello atteso che non si deve metter mano nelle opere del Comune senza avere il progetto di farle corrispondere alla gran-