stesso può dirsi dei krufkji che sono uomini e formano quello dello sposo. (V. la nota 2 del i° canto p. p.) Tanto nel carme nuziale public. dal Camarda (App. ecc. p. 116 e seg.) come in quello pubblicato dal De Rada(op. cit.)con lievi varianti, non appare che gli amici dello sposo solessero con le loro mani abbigliare costui; ma il Dorsa, (op. cit.) afferma questo essere di rito nelle colonie albanesi di Calabria; anzi riporta i versi seguenti, che sono una traduzione del Regaldi : O pettine gentil, del fidanzato acconcia ben la chioma, o tu verrai da me franto, e sul nudo suol gittato, dal piede insultator pesto sarai. Il testo non si trova nelle due raccolte citate, perchè questo carme differisce assai dagli altri, e ha molta attinenza con quello che si trova inserito nel presente canto. 11) Tèsièm ecc. Questo verso (il solo, che da pochissimi ancora si ricordi) con molti dei seguenti, faceva parte dei canti nuziali di Piana, diversi quasi del tutto dai finora pubblicati, tranne quelli del Dorsa. Ma nelle imagini e nello stile non sono molto differenti dagli altri. I versi che cantano gli amici dello sposo (rondinella dal bianco collo ecc.) e la risposta delle donne (fino a quello che dice : quando le avremo tolte e voi verrete) con poche differenze di lingua, si trovano nelle raccolte citate. Rimando all’op. cit. del Dorsa p. 146 e seg. chi abbia vaghezza di conoscere il rito delle nozze. Mi piace qui riportare solamente alcune notizie spigolate dall’op. cit. del Crispi e altre che si ricordano ancora in Piana a proposito delle cerimonie solenni del matrimonio, tema di ingenua poesia popolare albanese. E anzitutto trascrivo, riducendola all’ortografia da me adottata, la canzone che descrive lo scambievole innamorarsi di un giovane e d’una fanciulla. Shumè u dhes vasha per trimthin, shumè u dhes trimi per vashèn. Vashèn e vuun te njè fush, e vuun trimin mbi njè rahj. Trimi u buu njè kjiparls, vàisza u buu njé dhriszc e bardhé. Rritu rritu, dhriszé e bardhé, tn’u pe^tiil ndé kjiparis, e me bufgit perno ba^k. Kuur (jkojén kru?ka me nusen, màrrién njc degchè kjiparisi saa té bujèn flàmurin. Kuur skojén kru?kj me dhéndrrin, màrrién flet-t e dhriis e bardhé saa té bujén dii kuroré. Rro ti, e bukur, rromé e lume, si dhe sot per shumé mot. La fanciulla di molto amore si accese per il giovane, e il giovane per la fanciulla. Posero la bella in una pianura e il giovine sopra im colle. Questi diventò un cipresso, quella una vite bianca. Cresci cresci, o bianca vite, cingiti attorno al cipresso, perché facciate frutti insieme. Quando di là passano le krufke con la sposa, prendono un ramo di cipresso per farne una bandiera. Quando di là passano i krufkji con lo sposo, prendono le foglie della bianca vite per farne due serti. Vivi, o bella, vivi e possa essere felice, come oggi per sempre. Quando gli sposi vanno per contrarre il matrimonio in chiesa, sono accompagnati da uominie da donne (vedi la nota 12a) e sono preceduti da uno stendardo detto in greco volgare ’jxfliatpsniiov. Mi fa meraviglia che il Crispi dica non esservi memoria tra noi di quest’ultima usanza, mentre il verso 12° della canzone sopra riferita, non lascia dubbio sul proposito. Nei tempi passati lo sposo entrato in chiesa con la sposa e il 253