— 145 — doge Pietro Mocenigo che stermina il turco, incendia Smirne e trae salvo da Scutari Antonio Loredan; del Lor^dan, appunto, che in quella stretta grida ai soldati e al popolo affamati : « Eccovi le mie carni, sazìatevene, ma durate nella difesa ». Ascolta : è il passo di Paolo Erizzo, di Alvise Calbo e di Giovanni Bondumiero, gli eroi di Negroponte, di Marcantonio Bragadin scuoiato a Cipro e di Tommaso Mocenigo che nella guerra di Candia rompe con una nave sola l’armata turchesca e procombe sulla tolda. Altri li seguono e sono Jacopo Riva che ignora il pericolo, e Leonardo Foscolo e Nicolò Marcello e Lazzaro Mocenigo. Si, anche, è con essi l’ultimo esemplare di quella aristocrazia alla quale la nobiltà del nome era imposizione di ogni sacrificio: Angelo Emo. Dopo lui un gran sole si spense. Quali compensi per le loro audacie ? L’immortalità e l’elogio della Repubblica. N’erano paghi. « Havete, Antonio, superati tutti li meriti delli progenitori vostri... » così essa al Loredan. « Vi lodiamo col Senato » così essa al Morosini. Ma ancorché grandi i loro servigi, immensa la loro abnegazione epperò certissima la loro fede, so-vr’essi come su tutta la nobiltà è posato l’invisibile sguardo del Consiglio dei dieci. Questo tribunale fu avvolto dalla leggenda in una foschia di terribilità romanzesca. Esso, per le turbate fantasie, riflette, come stromento di sanguinosa tirannide, luci bieche e spettrali sul palazzo della legge, aduna pugnali e veleni, botole e rasoi, sopprime senza processo, senza difesa, opera la vendetta e la nequizia. Era per certo un tribunale severo, ma giusto secondo la concezione punitiva dei tempi. E fu torto dei gover- 10 — Sintesi Veneziane.