- 65 — tsS La torre armata, scura, massiccia, bizantina an-ch’essa, dalla cupoletta sporgente dalla merlatura marmorea come cranio da un cercine, battifredo minaccioso più che campanile, guarda l’alacrità delle opere co’ suoi occhi vigilanti. Guarda Venezia che si culla sul suo ricco mare il cui murmure le porta non deluse profezie, e la cui ebbrezza ch’è ragione di eroiche fecondità darà l’uomo grande, il cieco veggente, colui che saprà far paghe le sue azzurre bramosie orientali : il Dandolo. E vede, la torre armata, la sposa dell’Agnello che si ammanta, la città di Dio, la basilica che s’adoma «d’oro puro simile al vetro puro ». Nelle fornaci, infatti, bolle la pasta incandescente di quel vetro che serrerà l’aurea polvere che ricorda quella imponderabile di Tiro. « L’oro è la saggezza : com’esso occupa il primo posto tra i metalli così la saggezza tiene il primo rango tra i doni tutti... ». Relazione tra l’estetica morale e quella artistica, che Innocenzo III impose trasformando con ardimento di poeta il primo malanno del mondo nel più alto fattore d’ordine e di umana giustizia. Il mosaicista inizia, ora, la sua prova sulle sacre pareti. Da Dio tutto è principio e da lui, dalla sua figura s’impronta la decorazione musiva. Così esige la liturgia greca, così la tradizione che non deflette, per cui primo appare alto e severo nel catino dell’abside presbiteriale il Cristo benedicente che reca il Vangelo sul suo seno quasi a comunicargli il suo palpito. Ma non là, non là ■doveva campeggiare il Cristo, sì bene nella cupola cen- 5 — Sintesi Veneziane