— 108 — tane per le proprie fortune, per l’umanità, per la religione, per il bene spirituale e per il bene materiale, per la libertà; di quello che fiorì fraternità in patria, invidie di fuori, macchinazioni a Roma e a Genova, soggezione dovunque. Nè per esso, che si sappia, fu interrogato il destino, quantunque la fallacissima scienza dell’astrologia fosse tenuta in onore dai veneziani per contagio importato dai greci, e specialmente nel trecento quando Andrea Costantini rifiutava il dogado « per l’infausto vaticinio fattogli da un Moro della Soria e due anni dopo lo accettava contro suo genio per la stessa cagione ». La sapienza suppliva alla favorevole congiunzione delle stelle; al pregiudizio, all’impostura, s’impose il genio in ogni tempo ed anche se architetti venivano di fuori era genio d’impronta veneziana essendo avvenuto sempre che, messo piede a Venezia, l’artista parve bere un filtro che trasfigurò la sua visione. I caratteri di Roma e di Toscana e di Lombardia penetrarono, appunto, nella città lagunare per compromesso. Lo stesso Sansovino, saturo di esperienza e romana e fiorentina, non può sottrarsi all’influsso della spettacolosità ch’è nelle eleganze a fondo orientale dell’edilizia veneziana e abbandona il rigorismo per concedersi all’incantamento delle forme (che oggi diremmo, pittoplastiche) specie nell’opera sua più deliziosa e più crucciosa : la Libreria. Aveva egli compreso che colore e ricchezza voluttuosa, segni d’una lunga osservanza del fare bizantino, erano così inseriti nel sentimento artistico locale, che a grattar poco poco si sarebbero trovati anche nelle costruzioni più piene ed espante del Cinquecento.