— 165 - l’ombra di viltà in cui i più si agitano, vanno come fantasmi, indugiano ad ascoltare se venga dal porto l’eco della cannonata, tremanti. Disordine nelle menti; speranze sceme in miseri partiti di salvezza; Pizzamano fedele in mare. Condulmer fedifrago in terraferma; Pizzamano disposto ad ogni disperata impresa, Condui“ mer pattuente col generale Baraguay d’Illiers d’introdurre di sorpresa trecento granatieri francesi nel palazzo ducale durante la riunione del Senato. Forse la nefanda trama avrebbe mostrato alle genti la caduta d’una millenaria repubblica per un atto di violenza estrema più che per una conigliesca e irregolare determinazione. Ma la trama fu sventata, e il 12 maggio 1797 il triste destino si compieva. Venezia era tutta una gioia primaverile, il profumo degli orti si mescolava all’alito marino che non era più alito d’Oriente. I democratici attendevano in piazza, nervosi, l’ultima notizia dal palazzo. Al Florian guardinfanti e tabarri. Là non pareva questione di un glorioso regime, ma di una gara mondana qualsiasi. Cadrà, cadrà! I democratici antecipavano il verso della civetta di Heine. E cadde tra lo scompiglio e lo sgomento degli affezionati a San Marco. Poco dopo dalle private stanze del doge a quelle delle magistrature, delle cancellerie, degli archivi cominciò la razzia. « Per salvare » era il motto, per rubare era l’intento, mentre i piagnucolosi spegnitori di quel lumicino di repubblica, che poteva dare sì vasto incendio e, chissà, mutar le sorti d’Europa, strisciavano vergognosi pel cortile, s’insaccavano sotto i felzi accostati alla riva delle prigioni — di cui erano sol degni per serrarsi, in fretta, nei palazzi che ave-