— 105 - con certezza le torri d’angolo, quindi abbattute dallo Ziani per ampliarlo. Torri se ne innalzarono parecchie sui palazzi della città adriatica nell’antichissimo tempo, ma non già cupe e serrate e merlate e occhiute da imitar quelle di terraferma in cui le fazioni, gli odii, le congiurate vendette esigevano forti propugnacoli muniti di mangani e di petriere (tortorelle o cazzafusti che fossero) di depositi di verettoni e di lancioni, non già sottoposte a funzioni giuridiche, nè custodite da armigeri, nè insidiate da avverse caseforti; torri d’onesta fama esse erano, complemento soltanto ornativo della casa patriziale, osservatorio panoramico. Però quelle dogali dovevano rispondere a un bisogno di difesa, che non sappiamo se mai attuata, al bisogno stesso che faceva sorgere turrite caserme in taluni punti della città. Torri, di Stato, tuttavia, erano queste, di cui qualche residuo, trasformato in abitazione, oggi avverte l’occhio abituato a non appagarsi del belletto. Il pittore intelligente ha capito. Gli è messo innanzi del materiale d’ideazione: rievochi, sogni, costruisca. Certo più che la vita iniziale di Venezia gli riesce facile interpretare l’odierna. È vero, il palazzo lo ha dinanzi, fonte di esaltazione, mole — se può dirsi — di romana venezianità, custode di una fiamma d’amore non soltanto municipale e che non vacilla per venti ed eventi, come chiusa nel purissimo cristallo d’una lampada di Carpaccio. Ma è questo il punto : penetrare non pure la sovranità dell’arte che lo ha creato, ma altresì l’arte della sovranità in esso esercitatasi nei vari aspetti di grandezza, di splendore, di giustizia, di severità, di