— 142 — « Dichiaro guerra — egli avrebbe detto — in nome di Luigi mio Re, a voi Principe, a voi Veneziani come usurpatori e rapitori perfidi del dominio altrui. Viene egli stesso a recuperare a mano armata ciò che voi avete invaso per forza ai legittimi padroni e che ingiustamente da tanto tempo ritenete ». Avrebbe detto, ripetiamo, perchè non c’erano nè stenografi, nè grammofoni e perchè non sappiamo quanto il Senato avrebbe tollerato quel linguaggio, nulla potendo ormai stornare l’aggressione. Ai cronisti si può far buona, invece, la equilibrata risposta di Leonardo I.oredan perchè nobile e altera e concisa com’era nella dogale consuetudine. «Francese — e l’inizio ed è già una unghiata — Questa repubblica nulla possiede con ingiustizia nè in Italia nè altrove; essa non ha mai mancato di fede ad alcuno, ma sempre ha osservato religiosamente i suoi trattati. Va, dunque, e dì a nostro nome al tuo re, noi, con l’aiuto di Dio, essere pronti a sostenere la guerra, che con tanta baldanza ci dichiari, e lusingarci che il Cielo vorrà punire i francesi del loro delitto di violare la fede dataci ». Il regime fu salvo perchè tra le mura del palazzo e fuori raggiarono fede e concordia. «3? Figure di condottieri, di senatori, di magistrati (savi si chiamavano ed erano) vediamo traversare, silenziose, le fulgide sale. Figure venerande che, pur nei momenti difficili, conservarono la calma fiduciosa, la ferrea volontà di non tradire la solenne compostezza che spesso cela una compressa emozione. Quanto più la Repubblica è impegnata in terribili lotte, maggiormente