PAL - 245 - PAL riamente trattato, con ogiva fortemente temprata, ed ha una piccola camera interna per contenere una carica da scoppio. È destinato ad attraversare le corazze. È munito del cappuccio (vedi questa parola). Lo scoppio della carica interna avviene dopo la perforazione, e quindi all’interno del bersaglio (vedi fig. n. 81). Palla-fa-tu ! - Tradizionale espressione che si usa nel linguaggio famigliare della Marina Militare per accompagnare o sottolineare un atto inteso a raggiungere un certo fine, ma in modo necessariamente e rassegnata-mente frettoloso. Associazione di idee con un colpo di cannone sparato senza una diligente punteria, come affidandosi ad immaginaria avvedutezza e destrezza del proiettile. PALO. — Si dà pure questo nome agli alberi poppieri., senza vele quadre, della « nave a palo » e del « brigantino a palo » (vedi lig. 35 e 37). PALOMBARO. — Lo specialista addestrato ad immergersi fino al fondo del mare ed a lavorarvi con la protezione di appositi apparecchi a cui si dà il nome di scafandro (vedi questa voce). I palombari sono usati per la pesca di alcuni prodotti del fondo marino (vedi « pesca del corallo e delle spugne ») e pel ricupero di cose affondate ; ed alle navi il loro ufficio è sovente necessario per la ricerca. di oggetti ed attrezzi caduti in mare, per lavori intorno alle ancore affondate, per visite e pulizie alle carene, ecc. La Marina da guerra si avvale inoltre dei palombari per lavori inerenti alla difesa subacquea (opere d’ostruzione alle bocche dei golfi e dei porti). Le navi mercantili, eccettuate quelle addette alla pesca delle spugne e del corallo, generalmente non hanno dei palombari al loro bordo, e per gli eventuali bisogni si avvalgono di palombari privati, che, nei porti, per una congrua mercede, adempiono i servigi che vengon loro richiesti. Il palombaro che usa lo scafandro ad aria (scafandro comune o quello a cappuccio) viene condotto sul luogo dell'immersione mediante un’imbarcazione su cui è installata la pompa d’aria (ci riferiamo a quanto è esposto alla voce « scafandro »). Egli s’immerge stando sospeso all’imbarcazione mediante una corda legata alla sua cintola e discende lentamente per effetto del lieve eccesso del suo peso rispetto alla spinta di galleggiamento generata dall’aria di cui lo scafandro è pieno. Quella corda, che si chiama braca o braga, è il suo mezzo di comunicazione con le persone che stanno nell’imbarcazione, e precisamente con una di esse alla quale si dà il nome di guida. La guida ha l’ufficio di sorvegliare continuamente il palombaro tenendo tra le mani la braga : se nou vi è un impianto telefonico che permetta una comoda conversazione con l’individuo immerso, si stabilisco un semplice sistema di segnalazione mediante dei leggieri strattoni da dare alla braga da parte del palombaro e della guida. Poiché con l’aumentare della profondità d’immersione, cresce la pressione dell’acqua circostante (dieci metri d’acqua equivalgono ad un’atmosfera) per mantenere sempre l’equilibrio tra quella pressione che agisce all’esterno dello scafandro e quella interna dell’aria, è necessario aumentare di pari passo quest’ultima. Pertanto il palombaro, durante l’immersione, respira un’aria che ha una pressione maggiore di quella a cui i nostri polmoni sono assuefatti. Se questo aumento di pressione, negli uomini sani e robusti non produce che un leggiero disagio (compressione dei timpani), il cambiamento opposto, cioè l’improvvisa diminuzione della pressione dell’aria, può causare dei seri danni fìsici, tra i quali il più grave è l’embolìa per assorbimento d’azoto. Per tale motivo, il ritorno del palombaro alla superfìcie da profon-