GIORGIO SKANDERBEG L'anno 1443 irrompe nel burrascoso cielo d’Albania l’astro di Giorgio Castriota Skanderbeg per cui ancor oggi, a distanza di cinque secoli, il popolo albanese porta i segni del lutto nelle simboliche striscie nere che tagliano il bianco immacolato del costume nazionale. L’ammirazione e la gratitudine per questo Intrepido, assurto ai fastigi dell’epopea, fioriscono tuttora nell’incancellabile ricordo, fieramente tramandato, da cinquecento anni, di generazione in generazione, affidato ai nostalgici e ingenui canti della gente skipetara, che vede assommarsi nell’Eroe nazionale tutti i suoi stessi motivi, tutte le sue stesse ragioni di vita : il travolgente amore di patria, l’esasperato sentimento dell’onore, l’ansia gioiosa del combattimento. Promotore della Lega contro i Turchi con l’appoggio di Venezia (che inscriverà più tardi il suo casato nel libro d’oro della nobiltà), del Pontefice e del Re di Napoli, egli sconfigge — tra il 1443 e il 1448 — quattro agguerriti eserciti turchi ; nel 1449 volge in fuga il sultano Murad II, calato in terra albanese con 100.000 uomini e, nel 1451, il di lui successore Maometto II; sconfitto a Berat nel 1455, si riscatta prontamente nel 1456, a pochi mesi di distanza, con la vittoria di Dibra ; il 2 settembre 1457 prevale ancora sui turchi, nella cruenta battaglia di Tomorico; nel 1458 reprime una sommossa interna; nel 1459 sbarca in terra italiana a Trani e combatte, a Bari e Ursara Irpina, a fianco del re Ferdinando d’Aragona ricevendone in premio i feudi di Trani, Monte Gargano e San Giovanni Rotondo; nel 1463 mette in fuga gli eserciti di Ghizmet beg e Balaban beg. Nel 1466 un’altra valanga di 200.000 turchi si abbatte sull’Albania, riuscendo ad espugnare la città di Kruia che non poteva più essere ritolta all’invasore. Il 17 gennaio 1468, ancor rigoglioso di vita e ribollente di odio contro il Turco, Giorgio Castriota Skanderbeg chiudeva la sua vita terrena e non, purtroppo, nel rumore della battaglia —- come gli sarebbe stato giusto destino — ma per un imbelle assalto di febbri palustri. Crollava con la scomparsa di Skanderbeg — che papa Callisto III aveva nominato « Capitano Generale della Curia nella guerra turca », appellandolo « Atleta di Cristo » — la più solida colonna della Cristianità nella lotta contro i Mussulmani che dovevano calpestare, ancora per secoli, la nobile terra albanese. La città di Roma, dove l’Eroe skipetaro venne, due anni prima della morte, in cerca di aiuti per il suo paese al Pontefice Paolo II Barbo, intitolò a Lui una piccola strada e una piazza (in prossimità della fontana di Trevi) che portano ancora il suo nome. Meglio e più solennemente intende ricordarlo, ora che la fulgida corona di Lui risplende a lato della gloriosa corona Sabauda, in quella potente e degna statua equestre dell’accademico Romano Romanelli (incisione a pag. 35), che sorgerà nel piazzale Albania (già piazza Rauduscolana), attiguo alla Piramide di Caio Cestio ed al nuovo Parco omonimo, inaugurato dal Duce il 21 aprile di quest’anno.