Il VANTO DELLE I.ETTERI-) 45 il più perfetto e più liberale d’Europa. Ma alla fine del Seicento le lodi degli scrittori si conversero sul regno britannico, e intorno al reggimento politico di Venezia crebbero le diffidenze e le critiche, sebbene non mai generali. Il periodo (die seguì alla morte di Francesco Morosini (il Doge, m. 1694) e che va dal racquisto alla perdita della Morea (pace di Passaro-witz, 1718) fu infatti di estrema stanchezza e debolezza e segnò la massima decadenza della Repubblica. Anche dei commerci levantini, della stampa, della pittura, di altre arti e industrie era venuto meno il primato. Ma la vita sociale, a cui diede la donna tanta giocondità, si destò con vigore nel secolo decimottavo : d’oltralpe giungevano idee e costumi innovatori : nei palazzi le antiche sale si riempirono e ornarono di minuta eleganza : da per tutto il Settecento sorridendo pose una linea gentile. La pittura tenne un’altra volta suo regno a Venezia. I torchi della stampa si moltiplicarono (Albrizzi, Zane, Lovisa, Valvasense, Bettinelli, Pasinelli, Occhi, Pitteri, Colombani, Pasquali, Coleti, Zatta ecc.) : la città diventò emporio importantissimo di libri italiani e stranieri : le traduzioni dalle lingue antiche e moderne, copiose nel Seicento, crebbero infinitamente: i giornali di erudizione poterono alfine competere con gli stranieri, quando nel ’10 cominciò a uscire quello dei Letterati d'Italia (Zeno). La passione degli spettacoli e il rinascente fervore degli studi procurarono ancora un trionfo a Venezia. La maggiore infelicità delle lettere nella penisola nostra ebbe a coincidere con la massima gloria delle lettere ili Francia, nel giovine regno di Luigi XIV : onde più profondo sorse in noi, a pena instituita VArcadia (1691),un senso tra di vergogna e dispetto, insieme col desiderio di presto abbattere l’orgogliosa rivale. Tuttavia soltanto i capolavori di Corneille, di Racine, di Molière furono segno di grandissima invi-