2i9 UDXXVIII, APRILE. 230 lente et forte ari superare ¡1 più debole, senza dubio aleuno ritornerà ogni cosa nello antiquo caos et nella pristina confusione, nè sarebbero li elementi formati nè le allre cose di quello composte, senza le quali l’huomo non può vivere, né alcuna delle cose create durare. Ma la divina sapienza, per il suo inf i-libileet admirando ordine,unì et proporlionò le cose l’una a l’altra in tal modo, che l’uno contrario non combatte con l’altro; ma stando contenti al termine loro posto hanno quodammodo amicitia et confederatone insieme. La medesima unione fu posta tra li animali irrationali, li quali benché combatino molle volte insieme, non solo in genere, ma ancora quelli di una specie medesima in tra loro, non di manco tale concertatone o combatimento non fann > volunlariamente, ma tirati et sforzati dalla necessitò del cibo et del coito, come diftusamente si tratta ppr li scurtatori delli naturali secret, de quali non è nostra provinta o inlentione al presente parlare. La medesima unione et confederatone fu posta intra li homeni nel principio di la loro creatone, li quali si vivevano pacificamente et tranquillamente, nè si cognosceva sospetto intra loro, non si haveva notiti» di guerre, non si sapeva che fusse avarilia, ambitone et li altri monslri della humana specie, anzi ciascheduno senza alcuna sete godeva el suo contento della liberalità della terra, la quale largamente subministrava loro i loro bisogni, onde meritamente fu questa età denominala 153* la età de l’oro. Ma quando lo appetito inordinalo di dominare insito nel primo bello fece che rompessi la naturale el universale quiete movendo guerra alli vicini, naquono a 1’ humano comerlio infiniti mali, et pare che da quel tempo in qua il mondo non babbi havuto diuturna quiete et pace, perché la unione insita nelle menti di ciascuno per naturale instinto, fu alora primieramente corropta, nè da quel tempo in qua si è goduto la pace nè la indennità di tali pericoli, se non per quelli populi che hanno mantenutola unione con li vicini, la quale come prima hanno cominciato a maculare, cosi hanno comintiato a sentire le calamità di la guerra el il giogo di la misera servitù. Li Hebrei furono un populo polente et inviclo et mentre che le 12 Iribù fumo unite crebbe tanto il loro dominio che superorono el feron tributarii li loro vicini. Ma quando si divisouo et co-minciorno a combattere le dua con le 10 tribù, in-debilirno in tanto le forze loro, che non solo per-derno lo imperio propagalo loro dalli antiqui loro, ma etiam fu loro tolto il terreno nalivo, et furon menali in longissima captività. In Grecia, li Lacede- moni! et Atheniesi poterono con la unione che era Ira loro quasi soli scaciare il potentissimo re Xerse, che havea col suo ¡numerabile esercito potuto non solo muovere guerra alli vicini et longinqui, ma etiam subvertire li monti el far ponti sopra il mare, et non solo una volta (vinsero?) epsi persi ma molte, di che acquistorno tanta fama che ancora vivono le opere loro gloriose. Ma quando comincior-no a emularsi insieme et combatere l’una cita con l’altra, si debililorno tanto, che presto l’una et l’altra mancò, nè potero esser defesi dalla polenta nè dalla sapientia loro, con la quale havevano facto sì belle el opportune legge venute poi in uso di tulio el mondo, ma l’una et l’allra vene in mirabil calamità di servitù. Ma a che fine vo io ricercando le cose estranee longinque el antique ? Considerisi un poco Italia, la quale è stata tanto potente che ha su-biugalo tutto il mondo, non di manco la divisione et disunione di l’una cita con l’altra la hanno lacera in tal modo, che più volle è andata sottosopra. Lassiamo slare li Golhi, Ilunni, Vandali et Eruli et al-tre genti che l’hanno afflitta, ma dico pure de li tempi moderni. Non pensi alcuno, Serenissimo Principe, che si abbiano più volte vista la Italia preda dalli ultramontani, che questo sia nato per altra polenta che de italiani medesimi che si sono volti l’uno conira l’altro et oppressansi et emulansi P uno l’altro. Hannibale fu sapientissimo et potentissimo capitano, tenne la guerra in Italia 17 anni, scorse fino su le porle di Roma, et fece molti facli per li quali la fama sua serà eterna, et poi che fu vinto in Africa da Scipione, sondo lui apresso il re Anlhioco et da lui domandalo in che modo si potesse mover guerra alli Romani, rispose non ci esser allra via efficace se non primeramente porre la guerra in Italia, perchè la lunga experienlia li havea mostro che era impossibile vincere Italia con allre forze che di lei medesima, et quando li animi italiani sono inclinati alla discordia el disunione. Per tanto, Serenissimo Principe, si può fermare questa conclusione manifesta, che la discordia deli populi de Italia é stata quella .che I’ ha depressa, l’ha debilitata, et finalmente a buona parte di essa imposto el giogo della barbara servitù. Conoscendo adunque per queste et altre ragioni il pericolo che ne soprastava, el che a scaciare questa malata era necessario oporli un remedio di contrarie forze, parse a Vostra Serenità el a questo Illustrissimo Senato di fare lega et unione con la nostra excelsa Republica, mediante la quale se defen lesfcno le cose de 1’ uno et de l’altro dominio el si salvasse da la misera