59 2 suoi legni, di cui le potenze d'Italia e di Spagna aveano chiesto l’assistenza, prese la determinazione di trattare di nuovo con Marocco, Tunisi, Algeri e Tripoli. Nel 1764 e 1765 si andò d’accordo in-tornoad alcunecapitolazioniche vennero ben presto violate dalla reggenza di Tripoli, poscia dal dey di Algeri, e finalmente dalla reggenza di Tunisi. Sopra di questo argomento narra il conte Girolamo Dandolo, che la Porla ottomana continuando a mostrarsi disposta a mantenersi in amicizia colla repubblica, avrebbe questa potuto dirsi pienamente tranquilla, se la pirateria più sfacciatamente che in addietro esercitata du’Canloni di Barberia non le avesse imposto il debito di una più vigilante protezione del suo commercio marittimo, cui le sunnominate franchigie concedute a’porti di Trieste e di Ancona ispiravano nuovi e non infondali timori. Perciò manteneva il governo di essa un qualchenumerodi navi nel Mediterraneo; e volentieri accedeva agli inviti del Papa di collegarsi con lui, colla Spagna, con Napoli, con Genova, co’ cavalieri gerosolimitani di Malia. Anzi nel congresso a tal uopo raccoltosi in Piotila,proponeva la repubblica stessa il bombardamento d’Algeri, Tunisi e Tripoli, solo espediente atto ad estirpare il male dalla radice. Se non che la Spagna, cioè il gigante della lega,mandava a vuoto il ben concepito disegno. Mostrava essa infilili volervi entrar di buon animo, e per allucinare ognor più i collegati, diceva voler tentare essa sola l’impresa d’Algeri sopra ogni altra difficile. li perchè la prontez za de’falli mal rispondeva alla magnificenza delle paiole, giustificava la propria inazione,esagerandola grandezza dell’apparecchio. Venezia pelò non ebbe a durar troppa fatica per convincersi, che la Spagna, così consigliata dall’interesse del proprio commercio, voleva profittare de’ vantaggi della lega, e perciò voleva aver voce di entrarvi, ma senza dividerne i pesi e senza correrne i pericoli, aiutando amici e spaventando nemici co’soli rumi», t i delle parole. Intanto gli stati Barbare schi non perdevano il loro tempo, e con tinuando a correre sulle navi cristiane preparavansi ad una così gagliarda dife.' sa, che appariva insuperabile colle sole forze degli stati italiani. Perciò la repubblica, abbandonata dal solo allea tosuìnez-zi del quale avrebbe potuto far conto, si contentava di continuare a mantener la solita squadra nel Mediterraneo a prote-zionedella navigazionede’propri sudditi, e di far guardare da alcune fregale l’ingresso dell’Adriatico. Così presso a poco procedevano le cose, quando nel 1765 fu rieletto governatore o capitano di nave il patrizio Angelo Emo, da ultimo provveditore di sanità ne’Lazzaretti; essendo tra’veneziani statuito con sano consiglio di educare gli uomini di stato alle pratiche discipline del governamento in vai ie successive magistrature, acciò tutto vedessero, e di tutto istruiti, assunti fossero alle più interessanti e gravi faccende dell’amministrazione. Gli si affidò il comando d’un vascello di linea e di due fregate, con l’incarico di recarsi nel Mediterraneo a farvi qualche dimostrazione che incutesse a’pirati africani il timore di un più rigoroso attacco contro i loro nascondigli ; e di proseguire poi oltre lo stretto di Gibilterra sino a Lisbona, onde complimentare a nome della repubblica il re Giuseppe,e ad impegnarlo vieppiù astringere l’amicizia che già univa i due governi, ed a concedere alle navi de’vene-ziani quelle maggiori agevolezze solite largheggiarsi al commercio delle nazioni più favorite.L’Emo nel disimpegno della doppia missione superò l’espetlazione del se-natojanzi quest’ultimo nell’aver cosi rivolto le sue cure a rianimare il commercio nazionale,mostrò che in lui nell’accorrere alla difesa della repubblica colle proprie forze marittime, non era meno sollecito di promuoverne gl’interessi, e che se la scoperta del Capo di Buona Speranza e altre vicende aveano inalidite 1’ antiche