a6 primicerio ed i cappellani non avevano una particolare e propria rappresentanza, ma erano persone dipendenti dal doge; cosicché la ceremonia, così determinata dal rescritto, non consisteva che in un’esteriore apparenza di farvi figurare una persona piuttostochè un’altra,mentre in realtà operavano in nome di quel- lo, da cui dipendevano. Ed anche la forinola di dare all’eletto il possesso del beneficio in nome di s. Marco, era una fórmela insignificante, quanto allo scopo, perchè col nome di s. Marco, non s’intendeva che la repubblica. E similmente il farsi questa ceremonia nella basilica ducale di s. Marco, piuttosto che in qualunque altra chiesa, mostrava che l’investitura conferivasi dallo stato. Ed era questa quasi una prima investitura, la quale per essere data da uua persona ecclesiastica, non però in nome proprio, offriva l’aspetto d’uni rivesti tura spirituale. Seguiva poi la consagrazione del-1’ eletto, e dopo questa il doge gli dava una 2." investitura, a cui meglio della i.* si poteva dare un tal nome; perché in essa il doge col mettere in ditoall’eletto, che stava genuflesso dinanzi all’altare, il suo anello, e col dargli in mano il bastone pastorale, ne compiva la ceremonia. In sostanza si ridusse il concordato a raddoppiare il rito, che per 1’ innanzi celejjravasi una sola volta. Al proposito di siffatte investiture, ci fa sapere la cronaca Alliuale, che il vescovo d’ Olivolo Domenico 11 Vilinico del 909, sdegnando di ricevere l’investitura dal doge Pietro Tribuno, la cui condotta scandalosa l’aveva reso oggetto di disprezzo e di abbo-minio alla nazione, prese colle sue mani medesime il pastorale, che stava preparato sopra l’altare di s. Marco. Nota però I’ab. Cappelletti, che il fatto è vero, non il motivo da cui fu causato. Ne fu il vero motivo, perchè il popolo contro la volontà del doge l’avea eletto al vescovato d’Olivolo. D’altronde, Pietro Tribuno era anzi assai caro al popolo, per le valorose imprese da lui operate nel tempo del suo principato, massime per la vittoria da lui ottenuta sugli unni nel seno delle Lagune venete. L’ unico dissapore tra lui e il popolo fu per l’elezione ili Domenico, e sono false e smentite da tutti gli altri più antichi cronisti e dalla stessa serie de’fatti, tutte le calunnie inventate adisonore di lui dal cronista altinate. Riporla poi l’ab. Cappelletti il documento che ricorda l’investitura con ritardo conferita nel 1899, dal doge Antonio Venier al patriarca di Grado Pietro 111 Amely o Amelio. E siccome ne’registri della cancelleria ducale si trovano gli atti dell’ investiture a’ vescovi e altri prelati dello stato, lo storico riproduce il registro di una, a cui tutte le altre, poco più poco meno somigliano, cioè l’investitura pure ritardata nel 1429 al patriarca gradese Biagio Mo-lin. Racconta per ultimo, che cessato l’uso dcll’iuvestitura, già conferita solennemente dal doge nella basilica di s. Marco, di poi sene dava soltanto il possesso spirituale in Venezia al solo patriarca, e glie- lo dava nella cattedrale di s. Pietro l’arcidiacono assistito da’canotiici, come oggidì si suole praticare in tutte le diocesi. Tutto al più variava in qualche circostanza del ceremoniale. Bensì un qualche avanzo dell’ investitura, che dava il doge, fu conservato nella ceremonia che praticavasi ad ogni nuova elezione, e che continuò sino agli ultimi tempi della repubblica. Il patriarca dal palazzo di sua dimora, sino alla basilica metropolitana di s. Pietro di Castello, era condotto dal doge e dalla signoria ; e giunto in chiesa, il doge lo faceva sedere sul trono, gli faceva baciar l’altare, compiva in somma il ritod’una vera investitura,senza che si potesse o si dovesse dire investitura. Che in certi giorni solenni, e in alcuni monasteri il doge dava la benedizione al popolo e alle monache, mostrandosi pubblicamente ; e che per lui con particolari forinole si pregava pubblicamente nelle