parlamentare da sostenere il confronto con qualunque più vivo discorso tenuto nelle moderne camere costituzionali.Tenterò darne un breve cenno. Lo rivolse a que’padri del collegio, che aveano deliberato colla benda agli occhi e guidato il sapientissimo consiglio cui parlava, nel quale s’insegnava in proposte e risposte dire tutto al contrario, per rompere la pace e la fede promessa e giurata a Carlo V, con certa rovina dello sialo. Quattro del collegio, ragguardevoli per età e sperienza, guidare il resto de’padri con proposizioni spesso di grave danno. Ormai non era più data la libertà di contraddire il collegio ; poiché taluno di buon volere non solilo monlare in bigoncia a dir sua opinione,stava quieto; molti ch et ano atti a tale esercizio, non ardivano farlo per non inimicarsi il collegio; altri che a bene della patria non temono alcuno, pure si tacevano per non esser soli a quella fatica in fastidio del senato, pe’ molti parlari (alti. Nondimeno per la grandezza delle cose in trattato, ritenere essere udi'.o senza riguardi,e come uomo vivente in città libera, voler dire la propria opinione liberamente. Quindi dichiarò, trovarsi il governo tra l’ancudine e il martello. Il Papa finora nulla aver concluso di pace con Francia, anzi cercare di alienate da Carlo V a-mico e confederato, e perciò con lui porre in guerra la repubblica,questa negandogli io unoall’arciducaFerdinando le dovute genti e denaro. Rammentò poi quanto a-vea detto e quanto pure potrebbe dire e fare ilPapa,ma rsseie manilesto non volersi inimicare l’imperatore. All’incontro la repubblica, che di ragione non dovea nè poteva alienarsi da Carlo V suo allealo, procedeva con esso da nemica, e così per-derebbesi l’unico amico rimasto, perchè incerta I’ amicizia francese. Essere tra Scilla e Callidi, per fidare nel Papa, il quale iu sostanza voleva il Milanese in mano di Carlo V. Il consiglio ingannarci nel titubate a conservarsi in pace con 319 quel principe, e invece propendere per Francia, colia tacita negazione di genti e denaro. Strinse il suo ragionamento: Doversi rispondere al viceré di Milano, esser pronti alla difesa di quello stato e fermi nella confederazione imperiale.Non ebbe appena terminato, che slanciatosi alla bigoncia Andrea Trevisan, volle persuadere il consesso: Che volendo farsi gagliardi con poche forze, e cogli amici e confederati più furiosamente, si cercava inimicarseli e farsi preda del re di Francia allora potentissimo in Italia. Pensare, doversi rispondere al vicerèdi Milano, che il Papa come padre comune de’ fedeli, troverà il modo d’unire a concordia i due monarchi, e doversi aspettare da Roma la conclusione della pace. In fatti a’ 12 dicembre t5>24 non con l'imperatore, ma si concluse con Francesco I, tra il Papa e i veneziani di non ollen-dersi reciprocamente, e di non favorire ciascuno i nemici dell’altro. La repubblica avviò altresì le pratiche per rinnovare l’antica confederazione con Francia, però col particolare patio di non essere tenuti d’aiutare il te nella presente impresa. Intanto gli avvenimenti superando ogni umana antiveggenza venivano a cambiat e a un trailo l’aspetto delle cose. Conlinuava l’esercito francese l’assedio di Pavia. Tre settimane l imaselo gl’imperiali in vista delle genti francesi senza fate alcun movimento, non lasciando però di scaramucciare con alterna fortuna, quando finalmente a’24 febbraio i525 trovandosi i capitani imperiali in generale strettezza di denaro, e considerando che ritirandosi avrebbero non so- lo perduto Pavia, ma ogni speranza inoltre di difendere quanto ancora possedevano nel Milanese, deliberarono di venire a giornata. Inquietati con frequenti avvisaglie durante la notte i francesi, fingendo di volerli assaltare verso il Po, il Ticino, s. Lazzaro, falle dopo la mezzanotte 4 squadre, due di fanti e ilue di cavalli sotto il comando del viceré Lannoy,