8o fin (Tollera crasi costituilo un vero banco nazionale, il id’Europa, come dichiarai nel § XVII, n. 2. Questo slato di cose rese vivissimo il bisogno della pace con Emanuele, per cui il doge si decise mandargli nuovi ambasciatori , sebbene il trattamento fatto a quelli inviali dal predecessore poteva piuttosto aumentare che scemare il risentimento. Dappoiché Emanuele imbaldanzito perle disgrazie dell’armala veneta, lungi dall’ascoltare trattative di pace, proseguendo a molestare i veneti, avea futlo abbacinare l’oratore Enrico Dandolo, poi celebre doge, per aver con calore propugnato l’onore della propria nazione. Il prof.Romanin mette assai in dubbio l’improbabile accecamento, con ragionevoli testimonianze. Cerio è, che Ziani e il suo governo vedendo che tulle le pratiche di pace coll’orgoglioso e sleale Emanuele tornavano vane, dovette di necessità pensare seriamente a continuare la guerra, ed a farsi forle d’anni e d’alleanze. A quest’elicilo mandò Enrico Dandolo e Giovanni Badoer a Guglielmo 11 re di Sicilia, per islrignersi con lui in lega contro l’indegno Emanuele ; ma avendo essi incontrato due oratori greci che si recavano a Venezia con nuove proposizioni, loro si accompagnarono. Ascollati dal doge, fu spedila altra ambasciala a Costantinopoli, ma senza risultato, per le male arti u-sate da Emanuele onde delùdere i veneziani e allontanare la guerra. Troncata perciò ogni pratica, partirono per la Puglia Aurio Maslropiero e Aurio Danno o Doro, ove nel settembre i i j5 con Guglielmo 11 segnarono un trattato, pel quale furono ampliate l’immunità, già concesse al commercio veneziano dal padre Guglielmo I, stabilendosi fra le ai-ire cose che i veneti potrebbero Ira /Fica re ne’suoi siati s'i per mare e sì per terra ; che pagherebbero solo la metà di quanto o»eano convenuto i due re predecessori; ud ogni violenza e mole- stia contro di essi sarebbe data soddisfazione; esclusi da questo trattalo i corsari, e quelli che prestassero aiuto all’imperatore greco; promettendo inoltre il re di non invadere i domimi veneti da Ragusa a Venezia, e durare il patto 20 anni e più quando piacesse ad ambo le parti. Questo liattalo fu da alcuni qualificalo alleanza ventenne. Era intanto a cuore della repubblica di togliere a Emanuele l’importante appoggio che avea in Italia, nella cillà d’Ancona (a cui essendo unito il vescovato d’ Unicina, in tale articolo meglio ne ragionai). In quel punto si assediava (o meglio nel i i 73 ) da Cristiano arcivescovo di Colonia o meglio ili Magon-za (è riferito co’nomi ile’due arcivescovati, perchè Federico I tolse quello di Magonza al cardinal Corrado Witelle-spach e lo diè a Cristiano di Colonia, dopo la cui morte lo ricuperò il cardinale) per Federico I, ed i veneziani non ¡sdegnarono di cedere al suo invilo e il’ unirsi a lui per abbattere il comune nemico, mandando le proprie forze navali a quell’assedio, anche per reprimere le continue molestie degli anconitani a suggestione il’Emanuele. Stretta Ancona per mare e per terra, non fu presa pegli aiuti della contessa di Ber-tinoro e del dominatore di Ferrara, divoti a Papa Alessandro III. Sopraggiunto I’ inverno i veneziani si ritirarono, e concluso un trattalo con Rimini, per lungo lempo chiusero agli anconitani perfino l’uscita del porto; e nel 1 174 si fecero concedere dagli slessi anconitani la guardia del golfo, ad onta che la bramavano essi. Frattanto Federico I era calalo con nuovo esercito in Italia, incendiata Asti e presa Susa; però riuscirono vani i suoi sforzi sopra Alessandria difesa dalla lega lombarda. S’ intavolarono proposizioni pacifiche dalle due parli,e fu invitato Alessandro III a mandare i suoi legati a Pavia, e nel I iy5 fu pure sottosci-iIlo un compromesso in