nin. Deplorati i dissidii e ¡disordini nella cosa pubblica di vari tribuni, nella generale conclone o assemblea di Eraclea, dicesi clieCrisloforo patriarca di Grado(il Cappelletti lo chiama d’Aquileia residente in Grado, e non fa parola di quanto qui forse si attribuisce a tal prelato, anche dal Dizionario veneto, in questi generali comizi) prendesse a calmare gli animi molto inaspriti, ed in grave ragionamento ficesse considerare: i danni e le molestie dell’isole provenire non meno dalla mancanza di legame tra queste e dalla discordia de’ tribuni, che dalla forza de’ nemici; tante essere le vie aperte a questi per introdursi, o colla violenza o di soppiatto, da riuscire difficile a ciascuna isola da per se il respingerli; perciò avrebbe stimato moltoopportuna deliberazione quella di maggiormente restringersi intorno ad un capo comune, il quale avesse I’ obbligo di provvedere, non solo alla difesa della sua isola, ma dell’altre tutte; più unità vi sarebbe allora nel comando, maggior prontezza nel-l’esecuzione; tolte le gare, tutti concorrerebbero al bene universale, sicuro e forte quindi ne diverrebbe lo stato veneziano. Soggiunge il medesimo Romanin. Checché sia a pensare di questo discorso, forse vero nella sostanza, viene ad ogni modo accettalo comunemente, che nel 697 (anco il eh. cav. Cesare Canlù □ella sua Cronologia per servire alla storia universale dal 697 comincia la serie de’dogi di Venezia e con Paoluccio Anafesto) i veneziani deliberassero l’elezione d’un doge o duca, a ciò spinti o dal bisogno d’introdurre più stretta unità nel governo, o ad imitazione delle città maggiori d’Italia, come Roma, Genova (che pure ebbe dogi, ma più tardi nel i33g) e Napoli, eh’ erano allora governate da un duca. Eraclea quindi divenne la residenza del doge, fu per circa 70 anni la capitale de’ Veneziani secondi, e vi si tennero le nazionali assemblee. Ne’pineti e ne’boschi i dogi andavano a caccia, e 23 ne’ vari trattati co’ re d’ Italia, non ora-miseroi veneziani di farli sempre dichiarare come spettanti al loro ducato o do-gado, in regno nostro. Innanzi d’incominciar a descrivere i fasti de’dogi, e con essi i principali avvenimenti della storia della repubblica e della città di Venezia, trovo opportuno e assai interessante il giovarmi liberamente delle notizie generiche premesse a’dogi dall’encomiato prof. Romauin. Eletto il 1doge, non essendo bene definiti i limiti della ducale autorità, rimase questa incerta, ondeggiarle e spesso in lotta co’diritti e colle pretensioni de’nobili, del clero e del popolo. Laonde, se il doge era d’animo forte, egli tentava non di rado usare d’un assoluto potere, e perciò veniva per Io più deposto, accecato, ucciso; se debole, non sapeva comprimere la superbia de’ polenti e de’vescovi, e specialmente il furor delle passioni, quindi ne derivavano gravi confusioni ed eccessi. Si erano conservati anche i tribuni, come magistrati subalterni, poiché sarebbe stato imprudente lo spogliare di quella dignità tante famiglie che da secoli n’ erano state investite, e tanto pareva se ne gloriassero, che alcuni convertirono quel titolo perfino in nome di casato, come i Memino; ma di ciò veniva altresì nuovo disordine, giacché quelle potenti famiglie non lasciavano d’opporsi al nuovo governo e di suscitargli ostacoli d’o-gni parte, onde le frequenti rivoluzioni successero. Siffatto incoinposto governo doveva però essere la conseguenza naturale dell’ idee romane d’assoluto impero, e insieme del sentimento della propria libertà de’ veneziani. Aveva il doge la facoltà di convocare la generale concinne del popolo, nel quale sedeva insieme col patriarca,co’vescovi, co’giudici; egli avea la nomina de’magislrati, e poteva rimuoverli e punirli; trattava co' principi stranieri, ma per concludere lega o pace o dichiarar la guerra, pare che fosse necessaria 1’ approvazione del po-