i68 Janollcile’ai al 22 dicembre 1379quan-do, lutto essendo pronto, le barche veneziane tacitamente uscivano alla volta diChioggia, l'imorchiandodue grosse cocche (specie di grosse navi antiche) piene di pietre da affondarsi per ingombrare e serrare i passi. Avanti I’ aurora esse erano pervenute al passo di Chioggia Ira Pelestrina e Brondolo, e sbarcati circa 5,ooo uomini, questi piombarono a impadronirsi della punta di Brondolo, dando tempo all’armata di più agevolmente chiudere i passi; ma assaliti da’genovesi furono costretti a rimbarcarsi non seuza disordine. Non pertanto fece Pisani continuare i lavori; 7 galee genovesi accorse a impedirli, bruciarono uno de’navi-gli; intanto gli altri, colto il momento, affondarono le barche cariche di sassi, e fu allora veduta sorgere improvvisamente e quasi per miracolo, in mezzo all’ac-que, una diga insormontabile. Ltiuscita l’opera da questa parte, conveniva fare altrettanto da quella di Brondolo; ma il nemico stava all’erta e l’impresa era difficilissima, dovendosi passa re sotto il fuoco de’cannoni genovesi. Non per questo atterrito il Pisani ne diè il carico a Federico Cornaro; il quale uscito con 4 ga' lee, fu seguito da lui con altre 10 col doge. Nell’ardore del combattimento, lavorando indefessamente i zappatori alla disegnata chiusura, riuscirono a compirla. Allora Pisani celeretnente risalendo pel canale di Lombardia, affondò anche iu esso grosse barche; poi uscito dalle Lagune pel passo del Lido, fece il giro del-l’isole e andò a collocarsi al di fuori dalla banda dell’ alto mare. Così l’armata genovese si trovò chiusa d’ogni parie, e se non voleva arrendersi , le bisognava rompere quelle sbarre, superare i sassi e le palificate. Ria la posizione de’venezia-ni al di fuori non era men pericolosa: un colpo di velilo poteva disperdere i loro navigli, render vane le loro fatiche e liberare il Doria. Inoltre dalla parte di Brondolo erano fulminati daU’artiglierie nemiche; l’inverno facevasi vieppiù rigoroso, i viveri difettavano, malattie e morti non mancavano de’non avvezzi a tanti patimenti, onde manifestavasi 1111 certo desiderio di tornare a Venezia. Ma il vecchio Coniarmi da degno doge diceva: Io che m’avvicino agli 80 anni, voglio prima morire che di qua senza vittoria partirmi. Frattanto nella mattina del 1,° gennaio 1 38o si videro apparir da lungiiS vele, fra la speranza che fossero di Carlo Zeno, e il timore de’soccorsi attesi da’genovesi. Non è a dire l’ansia, il trepidare; com’è indescrivibile la gioia successa, allorché dalla torre di s. Marco si scorse sventolar sulle navi avvicinan-tesi l’augusto Leone alato; si vide ch’era la flotta patria con Zeno che accorreva alla sua salvezza, richiamato da’ messi della repubblica da’mari di Beirut e di Romania. Ed ei tornava non solo soccorritore, ma già trionfatore di vari legni genovesi predati, anco con preziose merci. Presentatosi al doge, riferì aver sommerso ben 70 barche genovesi, ricco di bottino, e pronto a collocarsi ove si volesse a salute della patria. Ebbe il sito più pericoloso, quello di Brondolo; dovè patire fiera burrasca, esposto al fuoco nemico e mirabilmente si salvòcolla sua destrezza. Fatalmente insorse grave alterco fra gl’inglesi, i tedeschi, gl’italiani al soldo della repubblica, cui il doge riuscì ri-conciliare. Fu poi riacquistata la torre di Loredo, importantissima posizione per vettovagliareVenezia,poiché aperta quella via di comunicazione si poterono ritirare i viveri che mandava per l’Adige il marchese di Ferrara, e far altresì entrare truppe raccolte sul conti nente:indi si rivolsero l’armi all’espugnazione diBrondolo,e al blocco di Fossone, ove in divisioni stanziava la flotta nemica. In quell’occasione facevano uso i veneziani d’enormi bombarde , colle quali lanciavano palle di marmo dalle i/jo alle 200 libbre, e per una di esse, per la caduta d’una muraglia del campanile del palazzo, a’22 gen<