*86 dronirono ili Feltre e Belluno, per accordi, onde l’imperatore concesse privilegi alle due città, nominandone vicario Brunoro della Scala, e ilei Friuli fece vicario il suddetto conte d’Ortemburgo, e fu allora che il capitolo e i vescovi provinciali elessero contro il da Ponte in patriarca d’Aquileia Lodovico Tech. Alla Molta diè altra grossa sconfitta agli ungheri Carlo Malalesta, ma rimasto malconcio cede il comando al fratello Pandolfo sunnominato; mentre lo Scolari, detto Pippo Spano, per essersi ammalalo, e non per tradimento, ritornò in Ungheria, e in fatti guarito si restituì con altre forze a ravvivare la guerra, combattendo gli ungheri anche neH’Istria e nella Dalmazia. Saccheggiando e distruggendo, nella notte avanti l’i i giugno 1/J12 giunse il nemico sopra zattere fino a s. Nicolò del Lido, ma accorso il popolo da tutte le partesi ritirò. A’24 agosto si diè furiosa battaglia alla Motta, vigorosamente combattuta; già la vittoria era degli ungheri, quando i fuggenti veneziani riordinati da Pietro Loredano e dal Malalesta, tornati all’assalto, diedero piena sconfitta agli ungheri con perdita ili prigionieri ed insegne, le quali furono collocale nella procuratia di s. Marco con iscrizione. In questo mezzo minacciata la repubblica da una traina interna, per opera di Francesco Baldui-no, propostosi il’ uccidere la signoria ed i nobili, il traditore fu impiccato; e Bartolomeo d’ Anselmo che la svelò fu ammesso al maggior consiglio co’ figli e discendenti. I particolari si ponno leggere nel cavalier Mulinelli, Annali Urbani, a p. 252. Divenuta la guerra pesante ad ambe le parli, a mediazione di Giovanni de Medici, a’ 17 aprile 14-13 si concluse la tregua per 5 anni, e vi si comprese il patriarca Tech, e altri alleati ile’ belligeranti. Altra tregua di 5 anni fu conclusa con Federico duca d’Austria per interposizione di Sigismondo. Questi profittando della tregua calò in Lom- bardia, e recatosi a Piacenza e poi in Lodi s’incontrò in ambedue le città con Giovanni XXIII, col quale nelle frequenti e lunghe conferenze s’ accordò per la convocazione del concilio di Costanza (V.), in continuazione di quello di Pisa, per estinguere lo scisma che tanto affliggeva la Chiesa universale. Altri colloqui Giovanni XXIII e Sigismondo tennero in Cremona, dalla cui Torre corsero pericolo d’ essere precipitati. Cominciava allora Venezia a godere d’una splendida pace, quando dalla peste assalita, in pochi mesi vi menò la strage di più che 3o,ooo persone.Indi a’26dicembre 14i 3 morì il doge Steno, ed ebbe onorevole sepoltura in s. Marina. Uomo il’ animo valoroso, negli affari solerte, costante nel mantenere i privilegi della sua dignità, vivace di tempra e di forte eloquenza dotalo. Impetuoso, venne a grave contesa cogli avogadori, i quali gl’imposero silenzio non [»olendo parlare senza licenza de’4consiglieri : persistendo egli a ragionare, gl’ intimarono di tacere sotto pena di lire 1000, e minacciandolo di chiamarlo innanzi a formale consiglio. La cosa non ebbe seguito. Ma nella vacanza della sede nuove disposizioni furono prese a limitare vieppiù il potere de’ dogi futuri. Agli avogadori fu data facoltà di citarli in giudizio, e non potere i dogi opporsi alle loro decisioni, anche di due ili loro. Non dovere i dogi convocare il consiglio, senza il concorso de’ suoi consiglieri. Non doversi vedere il loro stemma dipinto o scolpilo fuori del ducale palazzo. Si obbligarono a dar pubblica udienza co’loro consiglieri tutti i giorni, eccetto le feste ; di chiamare o-gid mese i giudici di palazzo alla loro presenza e ammonirli ad amministrare buona e imparziale giustizia ; di continuare il pranzo solito alle arti nella loro elezione. Durando ancora, sebbene ridotta a sola e vana forinola, la convocazione dell’ arengo e conclone popolare, ma assai di rado, e volendo sempre più