sulla veneta nazione il sangue del marito e del figlio. Per tale transazione si contentò Waldrada di riavere la sua ricchissima dote, e rinunziò al dono fattole da Candiano prima degli sponsali, secondo l’uso de’teuipi, della 4-” parte di tutti i suoi beni; di armi, di navigli, di servi, di schiavi e altro. Rinnovò poi il doge i patti con que’di Capodistria; regolò i tributi che al fisco si pagavano, e nella generai concione fece che gl’isolani giurassero ili pagarliper la salvezza della loro patria. iNè solo la chiesa Marciana e il palazzo, ina ingrandì gli alberghi, ed o-spedali fece erigere in Rialto pe’poveri e pe’pellegrini, a’quali del suo somministrava il vitto. Anzi vietò ad altri il dar loro alloggio, solo volendo egli trattarli al giungere nelle Lagune per visitare ¡corpi de’Santi, e massime quello di s. Marco eh’ era stato da lui riposto nella ri-fabbricata chiesa , che voleva adornare della Pala d’ oro. Ad onta dell’ esercizio di tante rare virtù, l’ottimo doge non era tranquillo nel suo interno. 1 maneggi occulti,specialmente de’parliti Candiani, ne minacciavano la vita. Se non che giunto per caso in Venezia dal monastero di s. Michele di Cuxa o Cnxac, volgarmente Cusano nella Guascogna, l’abbate Guarino, il doge più seriamente pensando allo spirito di partito che tuttavia agitava la nazione, e alla nausea recatagli dalle mondane grandezze, deliberò con Guarino di segretamente fuggir dalle Lagune, all’insaputa della moglie Felicia e dell’unico figlio Pietro. Quindi la notte deli.0 settembre 978, travestito, rasasi la barba, che all’ uso greco i veneziani erano soliti portare, tolte con seco molte gioie e molto oro, in compagnia di Guarino, s. Romualdo, Marino anacoreti, di Giovanni Morosini suo genero e di Giovanni Gradenigo suo amico, fuggì da Venezia alla badia di s. Ilario, da dove montato a cavallo e passate le Alpi, giunse co’colleglli a Cusano, di che parlai in più luoghi, come nel § XVIII, n.18. Be- 5 7 neficato già aveva largamente i poveri nel suo testamento, e 1000 libbre di peso d’argento lasciato al fisco pegli spettacoli che davansi alla nazione. Ma nondimeno dolorosa al sommo fu a'venezia-ni la notizia della fuga del doge che allora contava 5o anni d’età, e di regno 2 e giorni 20. Morì Pietro in Cusano a’10 gennaio 997 (l’Arte di verificare le date , impugna tale data e registra 987, ma quella magnifica opera non sempre corrisponde al suo titolo), e venerasi qual santo sugli altari. Il p. Helyot nella Sto<• ria degli ordini monastici, t. 5, cap. 2 r, ed altri storici affermano, che per consiglio di Pietro furono incendiati la chiesa e il palazzo, onde potersi uccidere il doge , ma appena elevato al trono, fu preso da orrore del suo delitto e da a-maro pentimento, onde per levarsi tal macchia e far penitenza risolse poi d’ab-bandonarlo e rendersi monaco, nel quale stato visse santissimamente. Dipoi Papa Clemente Xll con decreto de’28 a-prile 1731 concesse alla città di Venezia e al monastero Cussanense I’ uffizio e messa di s. Pietro I Orseolo doge di Venezia e poi monaco benedettino, del quale furono approvate le lezioni proprie da recitarsi da tulli i monaci dell’ordine di s. Benedetto, a’i5 dicembre 1733. Nell’anno precedente, il senato di Venezia erasi ricordato finalmente d’ un santo che fu cittadino e doge illustre, pio, benefico e generoso, premurosamente per Gio va nniMocenigo ambasciatore inFran-eia chiedendo le reliquie di s. Pietro Orseolo a’monaci di Cuxac, e annoverando^ lo tra’celesli protettori della repubblica. Giunti a Venezia a pubbliche spese due monaci, con tre ossa, una coscia, ùna fibula e una tibia del sanlo, furono ospitati da’conl’ratelli in s. Giorgio Maggio-i re, donde dopo formale riconoscimento delle sagre reliquie, queste furono trasportate con religiosa pompa a’7 gennaio 1733 alla basilica Marciana e nel suo tesoro deposte. Meglio è leggere il Mun