direzione, ma le guerre d’Italia vuotarono l’erario, la potenza turca spogliò di mano in mnno la repubblica de'suoi possedimenti d’oltremare, e dessa cominciava a scendere quella china che doveala condurrealla condizione di subalterna fra le potenze d’ Europa, come gravemente osserva il patrio storico prof. Romanin, prima di narrare i dolorosi avvenimenti che si successero. Leguerre d’Italia le impedirono di concorrere «/portoghesi nella nuova via presa da’traflici; per la sua positura geografica non era possibile passare lo stretto di Gibilterra, non consenzienti Spagna e Portogallo, senza rinnovare disastrose guerre contro sì formidabili potenze. Anche il eli. Casoni rileva, che le grandi ricchezze cumulate da’ veneziani, il lusso, la reale magnificenza, avendo mosso l’invidia dell’altre nazioni, nacque in esse la brama di strappar dalle loro mani le redini del commercio; quindi destatosi il genio de’vinggi, e diffusa la smania e la gara delle scoperte. E mentre questi clamorosi avvenimenti succedevano, per l’energia insorta nelle nazioni marittime^ si aumentarono altresì ne'dominatori la gelosia e il rancore verso la repubblica; laonde l’urto dato a discapito del veneziano commercio,si pensava raddoppiare con un potente crollo politico, e così fin d’allora vennero ordite le prime recondite fila d’una congiura che I’ altrui malizia seppe ordinare in Cambray, ma che la solita prudenza e la sagacità de’padri valsero a trionfalmente deprimere. Il IVloscliini dalla scoperta dei Capo di Buona Speranza riconobbe il primo germe della rovina della repubblica, onde il commercio di lei incominciò a venir meno, e col commercio la ricchezza e la possanza. La qual sua rovina si cercò sollecitare, per l’invidia e timore che metteva Venezia, sì dilatata nel continente italiano, arbitra dell’Adriatico, signora de’regni di Cipro, Candia e Morea, e occupati ice eziandiodi luoghi ne’maridel-1’ Oriente. Il conte Girolamo Dandolo a 2 55 due cause principali assegna la decadenze della prosperità della repubblica e della città di Venezia. La i .'essere la caduta di Costantinopoli venuta io signoria de’turchi, onde fu costretta a impugnar sempre le armi,e fu tarlo roditore di sua vita. La 2.’ l’aperta comunicazione col mare del-l’Indie orientali, altro gran colpo da cui Venezia mai più si riebbe. Il perchè qualifica indolenza, qualunque ne sia stata la causa,il contegno di Venezia ch’ebbe presto ad amaramente pentirsene, cioè dell'indifferenza tenuta, oltre agli inviti del Colombo, nelle navigazioni iovestigalri-ci de’portoghesi, poiché potendo disporre del più potente navile che allora esistesse, anziché eccitare il sohlano d’Egitto contro il Portogallo, doveva Venezia seguire gli esempi de’navigatori portoghesi: il campo era abbastanza vasto perchè due popoli potessero prosperarvi ad un tempo, e quando pure la bilancia avesse dovuto inclinare più in favore dell’uno che dell’alti o,le probabilità maggiori stavano nella parte di Venezia.» Ricca essa di produzioni sue proprie così naturali che industriali, e sovra ogn’altro polente sul mare, doveva alla fin fine prevalere sul Portogallo , che trovavasi in condizioni tutt'alìalto diverse. La scoperta dunque del Capo avrebbe recalo sempre una grave scossa al commercio de’veneziani ; ma il danno fu ancora più grave, e fu irrimediabile, perchè il governo non seppe o non volle apporvi quel pronto ed energico rimedio che stava ¡11 sua mano”. Così gravemente ragionava nell 855 il laudato conte Dandolo. Il dominio del mare dunque, sempre più andò sfuggendo a’vencziaui, mentre nobiltà e popolo si ammollivano.— Prima di narrare brevemente gli accennati funesti casi delle guerre italiane, conviene ricordare il riferito nel voi. LXXXII, p. 1 32. Coll’istituzione del patriarcato di Venezia, al senato ne derivò il padronato, e poco dopo anche quello di Aquileia. La repubblica a tenore del decreto 1 3q i , esigeva che i concor-