4* e Niceforo imperatore d’Oriente, a cui rimasero, per accordo, la Sicilia, le città di Puglia, e quelle marittime della Dalmazia. Spettavano all’impero occidentale P Italia settentrionale posseduta già da’longobardi, (nominalmente) il ducato Romano, PEsarcato,la Pentapoli (sovranità della s. Sede); e inoltre il Carso (porzione del regno Illirico, fra la contea di Gorizia e Trieste, sulla costa Adriatica), il LiLa (distretto e riviera della Croazia, ora reggimentario militare), parte del-l’Istria, della Dalmazia mediterranea, e quella parte della Liburnia conquistata da Carlo Magno sui croati; ed il ducato Beneventano, benché donato alla s. Sede, era ancora sostenuto dall’armi del duca longobardo. Quanto a’ veneziani, in tale alleanza e accordo, fu statuito nominatamente che le città della Venezia e quelle marittime della Dalmazia, costanti nella sincera divozione all’impero orientale, non dovessero essere dall’impero occidentale nè invase, nè minuite; e che i veneti continuassero a godere pacificamente delle possessioni , libertà e immunità ch’erano soliti avere nel regno Italico. Le nominate città della Venezia, che da’greci si vollero protette da ogni molestia, sono certamente le isole delle Lagune, Urbs Fenelorum, solo conservando tutto al più verso l’impero d’O-l'iente una dipendenza puramente nominale, e quale poteva combinarsi con un rapporto di protezione, al modo già riferito uel n. 3 di questo §. Maturavansi intanto gli occulti disegni del patriarca Fortunato, il quale credendo alfine giunto il momento di trar vendetta dell’esecrabile uccisione del suo zio e predecessore, diè mano, insieme con parecchie famiglie tribunizie, ad una congiura contro i dogi Giovanni e Maurizio. Ma scoperta, egli si vide costretto a prender la fuga insieme co’suoi complici Qbelerio tribuno di Maiamocco e altri nobili veneziani, ricoverandosi nel regao Italico a Treviso. Da qui Fortunato passò alla corte di Francia, ponendosi sotto la protezione di Carlo Magno , onde eccitarlo contro i veneziani, rappresentandoli tutti divoti all' impero greco, e dicendogli essere stato ucciso P antecessore perchè aderente al partito franco, lulanto i profughi di Treviso continuavano destramente le loro macchinazioni, e fatti levare a tumulto i partigiani nell’ isole, i due dogi Giovanili e Maurizio si trovarono a un tratto abbandonati ecostretti con grande stento neli’8o4a rifugiarsi su quel di Mantova. Giovanni si fermò in tal città, e Maurizio gi Ita tosi nelle mani di Carlo Magno, indarno ne implorò il soccorso , come avversato dal patriarca Fortunato; per cui restituitosi ov’ era il padre, non fu più loro concesso di rivedere i patrii lidi, e credesi che ambedue finissero i loro giorni in Mantova nell’esilio, riuscendo inutili i tentativi fatti per ricuperare il potere.— Obelerio Ante• noreo IX doge (presso alcuni storici è computato Vili doge, perchè tengono come continuazione di ducato quella di Maurizio padre e di Giovanni figlio Galbajo legnanti insieme dal 764, o meglio più lardi, al 787; laddove altri storici a Giovanni Galbajo danno il u. VII finché regnò col padre suo Maurizio, e allorché dopo la morte di lui cominciò a regnar solo, dal 787 all’804, assegnano il n. Vili, quindi il susseguente doge O-helerio ha il n. IX. Questo è il motivo per cui alcune serie computano per doge CXIX anziché per CXX l’ultimo doge Manin. Il Palazzi diè il n. VII tanto a Maurizio quanto a Giovanni Galbajo, quindi il n. Vili ad Obelerio; ed ha po i assegnalo il n. XVI a Domenico Tribuno mettendolo nell’elenco de’dogi, sebbene sia escluso dalla maggior parte degli storici; ecco pure perchè avendo il Nani ommesso uno e incluso un altro doge, i numeri della serie del Palazzi dal XVII in poi corrispondono alla sua. Il motivo poi perchè nella sala del gran consiglio i ritratti de’dogi non cominciano che da