re robustissimo dell'ordine, più volte tuonò dalla tribuna contro i deplorandi furori de’partiti guelfo e ghibellino, non perchè in Venezia esistessero tali fazioni, ma bensì quelli che ne seguivano le tendenze, per tener lontano da essa il miasma loro infernale, che pur tentava penetrarvi. A’ig novembre14-85 eletto doge, fu ili.“ cui per statutaria disposizione de’padri, sieno stati conferiti gli ornamenti della dignità principesca pubblicamente, con solennità e in luogo cospicuo, cioè sulla scala principale del palazzo, non quella attuale de’Giganti, come si disse, la quale fu eretta sotto il doge seguente fratello di Marco; la qual ceremonia prima d’ allora era costume celebrare in privato, come racconta il suo biografo Casoni. La peste ricomparve a desolare Venezia, ed il senato sempre pronto nelle pubbliche calamità, a-doprando la solila sua provvidenza, non lasciò mezzo alcuno intentato per attenuare il disastro, e per moderare nel volgo l’urto sempre fatale d’una prima spaventosa impressione. Tosto i lavori a compimento del palazzo ducale vennero proseguiti con raddoppiata operosità. Anco il Canal grande, che mostrava estesi imbonimenti, venne contemporaneamente escavato, in conseguenza dell’anteriore decreto de’a4 loglio 1485, e così aperti i tesori dello stato a sostenimento del povero, il senno calcolatore del principe contemplava ad un tempo ed otteneva più lodevoli scopi : utile e-sercizio all’industria e decoro dalla città, e necessaria distrazione delle menti per tante assidue e svariate occupazioni, che appena lasciavan tempo a riflettere sul-l’intensità della patria sventura. Ribellatisi i baroni del regno a Pedinando I re di Napoli, ricorsero ad Innocenzo Vili come supremo signore del regno, il quale prese la loro difesa e delle ragioni della Chiesa. Allora il re si alleò «/fiorentini e col duca di Milano, e recato dalla sua parte Virginio Orsini barone romano, 245 questi colla sua gente scorse fino alle porte di Roma. Il Papa fece lega co’suoi genovesi, ed a mezzo del suo nunzio di Venezia Nicolò Franco vescovo di Treviso invitò anche i veneziani, ma essi si scusarono. Narra l'annalista Rinaldi, che Innocenzo Vili rimproverò i veneziani per negare il possesso della chiesa di Padova al Cardinal Giovanni Michieli , a motivoche brama vanoaltro vescovo raccomandato loro da’padovani. Il cardinale però trovasi nella serie de’vescovi, almeno come amministratore dal i485 al 1487. Il doge Marco Barbarigo visse soli 9 mesi, e la sua morte fu causata da forte alterco ch’ebbe nel senato col fratello Agostino , che gli successe. Questi se gli mostrava sempre oppositore, e sembra che tanto allettata disparità di opinione, non fosse, per parte d’Ago-slino, totalmente scevra d’animosità; imperocché narra il Sanuto, un giorno che Agostino erasi mostrato più del solito insistente a contraddire il fratello, insorse il doge dicendo: Messer Agostino, voi fate ogni cosa perchè noi muoiano, per succedere in nostro luogo; ma se la terra conoscesse così bene, conte facciamo noi, la persona vostra, si sceglierebbe più presto ogni altro. Disceso dal trono, pieno di collera si ritirò nelle sue stanze, dove pochi giorni dopo cessò di vivere. Sentendo avvicinarsi il suo fine , fece chiamare al letto i suoi 4 figli, e raccolte in quel punto le poche forze, che gli restavano, ripetè loro, con ferma voce, i doveri del cittadino verso la patria, e l’armonia de’legami che questa a quella congiungono; diede loro l’estremo bacio, e prostese ambo le mani sul capo di que’ genuflessi, restò come assorto iifatto d’impartire la paterna benedizione; scorsero ancora poche ore, e spirò da lutti desiderato e compianto a’ >4 agosto i486. Osserva Moschini, parve che la sua morte non recasse grandolorea’uobili, per a-vergli dato a successore il fratello, per le cui couliuue ingiurie il doge ne avvilì c