i5o golfo Adriatico, ma solo con bastimenti mercantili, nè «¡tirerebbero i ribelli di Venezia: i veneziani dal canto loro non andrebbero con navi armate da Porto Pisano a Marsiglia, in favore de’nemici di Genova; avvenendo guerra tra questa e Pisa, i bastimenti veneti non potrebbero approdare se non a Genova, e così ¡genovesi solo a Venezia quando questa avesse guerra nel golfo Adriatico. Le due parti non somministrerebbero armi e vi veri a’Ioro nemici, ciascuna per guarentigia dovendo depositare 100,000 fiorini d’oro a Firenze o a Siena, a Pesaro o a Perugia. Sarebbero compresi il duca eleiI’ Arcipelago ed il re d’Aragona in questa pace. Altra nello stesso giorno si concluse col signore di Milano, e si compresero nella pace i signori di Padova, Verona, Mantova, Ferrara, Faenza. Così ebbe termine la lunga e disastrosa guerra di Genova, e con poca soddisfazione di questa, non corrispondendo il trattato dettato dal Visconti alla grandezza della vittoria ottenuta e a’suoi tanti sforzi per conseguirla. La sua potenza non potè rialzarsi, benché scosso poco dopo il giogo del Visconti, tornata in libertà nel seguente anno eleggesse il proprio doge. Venezia invece, celebrate solennissime fèste per la pace, estese nella terraferma, non tardò a risorgere, e per un governo ben ordinato e prudente, e pel concorso patriottico de’ cittadini rimise presto in mare nuova flotta , riprese colla solita vivacità i suoi traffici, strinse trattati col l'Egitto, colla Barberia, il gran kart de’ tartari e la Fiandra. Avea appena il doge Gradenigo composta la pace co’geno-vesi, aderito a una lega proposta dal Papa Innocenzo VI contro i turchi, essendo nunzio pontificio in Venezia Vaselli patriarca di Grado poi cardinale , che si trovò avvolto ripugnante in nuova guerra con Lodovico I re d’Ungheria, il quale suscitava i zaralìni ad altra rivolta. Non volle ascoltare i veneti ambasciatovi, inviati per accordi, pretendendo an- nuo tributo e navigli per passare in Italia contro la cognata Giovanna I, sempre implacabile per la violenta morte del fratello. Il doge ricusò le navi a tal fine, e in cambio del tributo esibì una somma di denaro. Frattanto il re pretendendo la cessione della Dalmazia, con grande e-sercito si accampò a Zara, Spalatro,Traù, Nona, e coll’ intelligenza di Francesco I da Carrara signore di Padova, e coll’aiuto del duca d’Austria o de’conti di Gorizia, e del patriarca d’ Aquileia scese nel Friuli,indi nel Trevigiano. Malgrado che i veneziani fossero intenti a difendere dagli stessi lingheri la Dalmazia, non trascurarono di radunar gente per difendere la Marca Trevigiana. Molti fatti d’armi seguirono in Dalmazia, ma colla peggio de’ veneziani che quasi tutta la perderono.Nel Trevigiano guerreggiavasi valorosamente d’ambo le parti; alcuni luoghi cedero-no,altri resisterono agli assalii di tanti nemici; se non che in questo mezzo il doge Gradenigo l’8 agosto t 356 morì, e fu sepolto nel capitolo dis. Maria Gloriosa de’ Frari, lodato da Barbaro per grande me-moria,e perfetta cognizione delle leggi che voleva osservate. — Giovanni Delfino LVII doge. Venne eletto a’ i3 agosto 1 356 mentre trovavasi provveditore di campo,assediato dagli uugheriin Treviso; furono perciò subito mandati a Treviso al re, Andrea Contarmi e Michele Falier per ambasciatori, col cancellier grande Benintendi, affinchè dasse un salvacondotto pel nuovo capo della repubblica, e tentare qualche via d’accordo, ma inutilmente. Treviso animata dalla presenza del doge, continuò nella sua vigorosa resistenza; e Lodovico I, vedendo tornato vano il suo assalto dalla parte del Borgo de’Santi-Quaranta, perdute le sue macchine, entrata la scontentezza nelle truppe, deliberò di partire pel suo regno, lasciando un esercito abbastanza numeroso a continuare l’assedio, e presidii in Collegllano ed in Asolo. Il Delfino poi, posti iu ordine 600 cavalieri, 0100 cavalli