14* ziale, il quale fu poi ogni anno solennizzato nella festa del santo. I veneziani raddoppiando gli sforzi per impadronirsi di Zara, vinti gli ungheri in fortissima battaglia, tornati essi col re alle loro terre, la città costretta dalla fatue si arrese a’veneti, dicesi per la y.a volta, e il sa-griiiziodi sua indipendenza fu compiuto. Nella capitolazione dichiararono i zarnlini, che la loro città e il distretto da tempo antichissimo appartenevano al dominio di Venezia, annullando ogni patto fatto nel sottomettersi ad altri, sottomettendosi nuovamente alla giurisdizione veneta curii mero et mixto imperio. Le fortezze si demolirono, nella città fu posto presidio, con Marco Giù stiniani per conte e capitano. Questa guerra costò considerabili somme. Quanto alla Crimea, il suo porto principale diSoldania,luogodi vivissimo commercio era stalo a’veneziani fin dal secolo Xlll,dalquale attirati ¡genovesi cominciarono a frequentarla e vi piantarono stabilimenti, clie distrutti nella guerra del i 296, dopo la pace poterono ristabilire, massime in Carta l’antica Teodo-sia. Nacque poscia gara tra’ veneziani e i genovesi per ottenere maggiori vantaggi e nuovi privilegi, i primi conseguendoli da Usbek imperatore de’tartari nel 1333. Ciò destando invidia a’genovesi, insorsero disgusti e danni, e ad evitar peggio nel i 842 si accordarono con trattato. Altro i veneziani nel 1 343 segnarono col principe tartaro Zanibek, ma per una rissa co’tartari restarono trucidati, spogliati e cacciati, veneziani e genovesi. Ambo le repubbliche si colle-garono per vendicarsi e sostenersi, però non andò guari che si venne a liti, a malumore, ad aperta guerra, dopo il fatto di Scio. Le due nazioni aspirando a con -quislarla nel 1346, riuscì a’genovesi di insignorirsene; e così padroni di Scio, di Calìa, di Pera si resero più preponderanti nel dominio di que’mari. Laonde i veneziani indispettiti, rannoda- rono le relazioni con Zanibek, e rinnovati gli antichi privilegi, ricominciarono il loro traffico alla Tana. Essendo ormai imminente fra le due repubbliche la guerra, tuttavia restò sospesa da gravi sciagure che colpirono Venezia nel 1347- A’25 gennaio, festa della Conversione di s. Paolo, nel dopo pranzo cominciò terribilmente a tremar la terra, scosse ripetutesi per ben i5 giorni. Caddero case e campanili, le campane di s. Marco stranamente suonando; Tacque del maggior canale all’ improvviso ritiratesi, lasciarono per alcun istante asciutto il letto. Lo spavento fu generale e grande, s’ invocò la divina misericordia. Il più de’ciltadini fuggirono nel vicino continente, poiché credevano la loro città inabissarsi quasi a un tratto, per gli abbattuti edilizi, e per molti altri miseramente scossi. Il terrore ne lasciò la memoria col proverbio con cui si ricorda detto giorno, chiamato s.Paolo de' terremoti. Appena ripopolata Venezia dopo lo spaventoso flagello, altro più desolante sopravvenne nel declinar del i347 e imperversò nel i348 con fiera pestilenza, la quale in 6 mesi mietè poco meno d’un 3.“ degli abitanti, ovvero 3 quinti, tra’più deplorabili orrori; ed il Mulinelli riferisce la nota delle 5o famiglie nobili restate estinte, e le circostanze strazianti che accompagnarono il terribile disastro, morendosi senza aiuto di medici e di sacerdoti, il timore avendo invaso tutti, allontanando gli stessi congiunti. Divenuta la città deserta, si eccitarono con privilegi e favori i cittadini a ritornarvi, ed i forestieri ad abitarla; il che non si ottenne cosi presto. In questo mentre Capodistria profittando delle sciagure si ribellò, ma tosto fu ripresa e punita. Nel documento di sua sommissione, il doge s’intitola ancora : Doge di Venezia, Dalmazia e Croazia, e di tre quarti e mezzo del romano impero. Temendosi nuove ostilità nella Dalmazia dal cauto del bellicoso Lodovico I re