>34 ma, savio com’era, egli si valse di quel permesso per riunire e copiare tutti i documenti che neh 7g8 diede a slampa nei due ben noli volumi sulla caduta della repubblica di Venezia, di cui dirò alquante parole a suo luogo, verso il fine del n. 44- 13. Marino Zorzi L doge. Mancato il doge Gradenigo, si raccolsero gli elettori alla nomina del successore, ed ottenne la maggioranza de’suffiagi Stefano Giustiniani distinto senatore, che a vea sostenuto parecchie ambasciate; tua egli rinunziando andò a vestir l’abito monastico a s. Giorgio Maggiore. Allora pendendo gli animi indecisi, raccontasi, che veduto passare a’20 o 23 agosto i3i 1 Marino Zorzi vecchio d’integerrima e santa vita, con un servo portante un sacco di pane da dispensarsi a’ carcerati, quello sull’istante elessero, onde venne poi agli elettori una più stretta clausura, dopo la sua morte, con ¡stabilirsi che tulle le finestre e i poggiuoli guardanti sulla strada fossero otturati (come il Conclave de’ cardinali ). Forse ebbe anche parte alla sua elezione il pensiero, che per la sua singoiar pietà e divozione, più facilmente riuscirebbe a far dal PapaCle-mente V liberare la repubblica dalla scomunica da cui era ancora allacciata. E-gli era già stato ambasciatore a Roma nel novembre 13o3 a Benedetto XI, poi all’imperatore Enrico VII alla sua venuta in Italia: inutilmente si scusò adducendo le sue abituali infermità. Dice il eh. Francesco Cadi suo biografo, la pietà e l’amore della religione nobilitarono questo doge, le cui virtù ancor vivente gli avevano meritato il soprannome di Santo. Nulla d’importante avvenne nel brevissimo giro del suo principato, il quale appena durò 10 mesi e 2 giorni. Si trovava la repubblica in piena pace, e si tenne a dovere Zara che sembava nuovamente volersi ribellare. In Venezia ogni cosa ormai tornava in quiete, mercè il vigore salutarmente usato nel punir la fellonia di Bajamonte. Succedevano però allora grandi rivolgimenti in Italia, essendo sfrenate le fazioni, per la lontananza del Papa stabilitosi in Avignone, e molti signorotti erano intenti a tiranneggiare la patria togliendo la libertà a’ comuni. Di tanta confusione Enrico VII voleudo profittare, qual fautore caldissimo de’ ghibellini e de’ bianchi, venuto in Italia per ricevere la corona imperiale in Roma,vivente il doge Gradenigo, alteramente scrisse alla repubblica di Venezia ed inviò la lettera per mezzo dell’ambasciatore Gerardo Sieirido, domandando d’essere ricevuto e riconosciuto come imperatore romano e re di Germania ; e perciò la repubblica mandasse a lui una ambasceria ad onorarlo, e trattare con lui della pace d’Italia e udire la sua volontà, ed intanto sospendesse ogni guerra e si apparecchiasse a rendergli que’ servigi e adempiere gli obblighi dovuti dal comune all’imperatore. Rispose Gradenigo, che i veneziani l’avrebbero riconosciuto, e mandato ambasciatori e navigli occorrenti se volesse fare il tragitto per mare ; non aver guerra con alcuno, solo esservi tuttavia qualche differenza col Papa, ma sperarsi tra poco riconciliazione ; quanto poi a’servigi ignorare quali fossero, ma se esistessero obblighi a cui i veneziani fossero tenuti, non vi mancherebbero. Tutti i deputati delle città italiane giurarono fedeltà all’imperatore, fuorché i genovesi e i veneziani, allegando molte ragioni, benché nel resto lo riconoscessero a sovrano. A’5 ottobre 131 1 Enrico VII da Cremona scrisse al doge Zorzi, invitandolo a mandare onorevole deputazione alla sua coronazione a Roma, al che furono eletti 4 individui, e concedendo facoltà aH’imperatore d’assoldare fino a 1400 balestrieri in Venezia, ov’erano numerosi ed esperti pe’ bersagli istituiti dal Gradenigo coll’obbligoa tutti i cittadini di esercitarvisi. Enrico VII fu coronato in Roma a’ 29 giugno 1 31 2 da’ cardinali