ig4 zione delle loro terre a’ fiorentini e al duca di Savoia, la cessione alla repubblica di Venezia di Crescia con tutto il suo territorio e dipendenze, la restituzione al Carmagnola della moglie e del* le figlie, e di lutti i suoi beni. L’animo variabile del duca si penlì presto delle falle concessioni, mosso anche da’ nobili milanesi, stimandosi troppo umiliati, rifiutando la consegna delle fortezze. Prossima a scoppiatela guerra, neli427, si richiamò a Venezia il Carmagnola per discuterne il piano, e fu accolto splendidamente colla contessa Antonia Visconti sua moglie. Le ostilità cominciarono nell’aprile dalla parte del duca nel Par-mignano e nel Bresciano, da’ rinomati capitani Angelo della Pergola e Nicolò Piccinino, espugnando Casal Maggiore e Torricelle.il Carmagnola non avendolo impedito, invano sollecitato dal senato a vigorose e decisive operazioni, ed avendo a sua disposizione 16,000 cavalli, pe’suoi pretesti insorsero mali umori tra esso e il senato. Sul Po fu combattuto furiosamente, e Francesco Bembo colla flotta veneta vinse e fugò quella ducale comandala da Eustachio Pacciuo, non ostante il soccorso delle genti del Piccinino che dagli argini scagliavano proietti contro i veneziani. Brescello fu liberato da Carmagnola, che rivoltosi a Gottolengo, vi fu tratto in aguato dal Piccinino, e benché i suoi soldati valorosamente combattessero, toccarono grave perdita. L’esercito che aveano allora in campo i veneziani era uno de’ maggiori che da lungo tempo si fossero veduti in Italia, a-scendendoa 22,000cavalli,oltre a 6000 fanti del paese, e 8000 mercenari!; nè minore era quello del Visconti, avendo il duca eccitato i suoi popoli agli estremi sforzi. Sollecitòquindi il senato il Carmagnola a passar l’Adda e portare il terrore fra’milanesi, e non badare alle finte parole scrittegli dal duca. Avendo egli il campo a Casalsecco, a’12 luglio vi penetrarono i milanesi, anche col celebre Francesco Sforza : fu la battaglia fierissima, gettato da cavallo il Carmagnola, per la densa polvere sollevatasi non più riconoscendosi I’ un 1’ altro, e infine le due parli si separarono senza decisivo ri-sullamento. In questo tempo il ducato di Milano era minacciato dal duca di Savoia e dal marchese di Monferrato, il che aggiunto alla discordia de’ capitani milanesi, dava facilità al Carmagnola di ricuperare Casal Maggiore e impadronirsi d’altri luoghi, non cessando il senato di sollecitarlo a nuove imprese, e di lagnarsi di sua poca operosità. Cedendo il conte Carmagnola alle ripetute rimostranze, mise l’assedio a Montechiaro a’28 settembre; ma i pochi risullati fino allora con sì fiorito esercito conseguiti, diedero motivo a sospetti e maldicenze tra il popolo, onde il conte ne scrisse molto risentitamente al doge, il quale con lettera ad Andrea Morosini, l’assicurò di tutta la benevolenza della signoria, e non dover valutare le dicerie d’ un popolo solito vivere in libertà ed essere governalo con mansuetudine, sparlarsi anche talvolta del doge e del governo, e pensasse piuttosto a qualche utile impresa. Direttosi a Macalò o Maclodio , villaggio del Bresciano poco discosto dal-l’Oglio, lo prese sotto gli occhi di Sforza, Piccinino e Carlo Malatesta. Questi indignali l’assalirono I’ 11 ottobre 14^7, ma trovaronsi da tulte le parti circondati da’veneziani in luogo paludoso; si scompigliarono, restarono disfatti, si abbandonarono alla fuga, e il capitano generale Malatesta restò prigioniero con 8,000 corazzieri ; tutte le salmerie e immense ricchezze caddero in mano del vincitore. In questa famosa giornata Carmagnola si coprì di gloria, il doge gli scrisse colle più lusinghiere espressioni, e con decreto del sellatogli donò la casa a s. Eustachio già dell’ingrato Malatesta , e la villa di Castagnedolo. Gli furono spediti da Venezia due ambasciatori con lodi e dimostrazioni di gratitudine e fiducia, ani-